sabato 13 settembre 2014

Grande Italia

Grande Italia o Italia imperiale fu un progetto con il quale il fascismo italiano aspirava a creare un impero italiano nell'area del bacino del Mediterraneo.

Il progetto della Grande Italia venne anticipato già nelle linee programmatiche dell'adunata di piazza San Sepolcro (con il programma omonimo del 24 marzo 1919) e nel Manifesto dei Fasci italiani di combattimento del 6 giugno 1919.
Esso consisteva in una Grande Italia che doveva includere: Nizza, Savoia, Ticino, Venezia Giulia, Dalmazia, Corfù, Malta e Corsica, popolate in parte anche da comunità italofone, e ampie zone dell'Africa settentrionale e orientale: Libia, Egitto, Sudan e Corno d'Africa, alcune delle quali abitate da italiani dal XIX secolo.
L'espansione in questi territori avrebbe permesso all'Italia di riprendere il dominio del Mediterraneo (che veniva considerato dai fascisti come Mare nostrum) perso con la caduta dell'Impero romano d'Occidente.
Il progetto acquisì nuovi tasselli durante la seconda guerra mondiale, con l'occupazione di Grecia, Corsica, Tunisia e l'invasione dell'Egitto; tuttavia tale progetto dovette essere totalmente abbandonato con la sconfitta delle Potenze dell'Asse.
In preparazione della guerra contro la Francia nel 1940, il regime fascista era intenzionato ad ottenere la Corsica, Nizza, la Savoia e le colonie francesi della Tunisia e del Gibuti.Il ministro degli esteri Conte Galeazzo Ciano il 10 giugno 1940 sostenne la spartizione della Svizzera tra Germania e Italia, con l'Italia che avrebbe annesso i cantoni Ticino, Grigioni e Vallese.

Il primo passo: Dodecaneso

Il primo passo per la formazione della Grande Italia fu fatto da Cesare Maria De Vecchi.
Nel 1936, dopo la nomina a governatore del Dodecaneso dette il via ad un processo di Italianizzazione delle isole greche, imponendo l'uso della lingua italiana e realizzando stanziamenti per un totale di 7.015 italiani a Rodi e nelle isole circostanti.
Nel 1940, con l'inizio della Campagna italiana di Grecia, De Vecchi propose l'annessione al Regno d'Italia del Dodecaneso e delle Isole Ionie nonché delle isole di Chio e Samo, che in passato era appartenuta alla Repubblica di Genova.

Il secondo passo: la Quarta Sponda

Un altro leader fascista, Italo Balbo, promosse invece attivamente l'incremento della comunità italiana sulle coste della Libia, colonia italiana sin dal 1912. Balbo chiamò Tripolitania e Cirenaica la Quarta Sponda dell'Italia, in riferimento alle altre tre sponde (tirrenica, adriatica e ionica) della penisola italiana.
Il 28 ottobre 1938 Balbo dette il via alla spedizione dei primi 20.000 coloni italiani, i cosiddetti "Ventimilli" provenienti principalmente da Napoli e da Genova, in Libia.
Il 28 ottobre 1939 venne dato il via ad una seconda spedizione, che riguardò altri 10.000 italiani.
Nel 1940, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, grazie a Italo Balbo i dati della colonizzazione italiana della Libia apparivano assai promettenti:


  • in Tripolitania italiana il terreno agricolo ammontava a 231.089 ettari divisi in 3.675 poderi, abitati da 3.960 famiglie (23.919 persone);
  • in Cirenaica italiana gli ettari erano 79.831, le famiglie 2.206, gli italiani 15.014.

A questi occorreva aggiungere altri 70.000 italiani sparsi nelle città della costa e, per completare il quadro, 424 chilometri di strade asfaltate, 2.740 chilometri di strade in terra battuta e 1.882 chilometri di litoranea dal confine tunisino a quello egiziano.
La comunità italiana di Libia raggiunse così il suo apice con 112.600 persone, ovvero il 13,26% della popolazione dell'intero territorio libico.
L'obiettivo finale era ancora più ambizioso: creare una colonia di 500.000 persone entro gli anni sessanta, in modo che gli italiani si ponessero in maggioranza, costituendo i 2/3 della popolazione della Libia costiera.
Nel novembre 1942 anche la Tunisia, con i suoi 120.000 italiani, venne inclusa nella Quarta Sponda, ma pochi mesi dopo fu riconquistata dagli Alleati.

Il terzo passo: i Balcani occidentali

Nella primavera del 1941, grazie all'aiuto degli alleati tedeschi, l'Italia riuscì a sconfiggere la Grecia e conquistare parte della Jugoslavia.
Il Regno d'Italia annesse la Slovenia centrale e meridionale (provincia di Lubiana) e gran parte della Dalmazia, che andò a costituire l'omonimo governatorato.
Il generale Vittorio Ambrosio, comandante in capo dell'Esercito italiano durante la conquista della Dalmazia jugoslava, creò una linea d'occupazione italiana da Lubiana al Montenegro, che successivamente fu considerata il confine orientale della Grande Italia. Questa frontiera includeva il Montenegro, l'Albania etnica ed il Principato del Pindo, in Epiro. De Vecchi propose anche l'annessione alla Grande Italia di Corfù, delle Isole Ionie e delle isole egee meridionali, territori appartenuti alla Repubblica di Venezia, nonché le «genovesi» Chio e Samo. In questo progetto di De Vecchi tutti i Balcani occidentali dalla Slovenia alla Ciamuria sarebbero stati italiani; si sarebbe così creato uno «spazio vitale italiano», però assai meno esteso e ambizioso del Lebensraum germanico.

Spazio vitale nell'ideologia fascista italiana

Lo spazio vitale, che albergava nel pensiero fascista italiano, riassumeva e giustificava le sue aspirazioni di espansione territoriale.
Tuttavia, mentre la conquista dello "spazio vitale" nazista era basata sul razzismo scientifico, e implicava necessariamente un'operazione di ingegneria razziale sull'Europa, da attuarsi con il genocidio delle nazioni soggiogate, l'aspirazione egemonica di Benito Mussolini non presupponeva il genocidio, ma affidava alla razza italiana, considerata "custode e portatrice di una civiltà superiore", la missione di esportare la rivoluzione fascista fuori dai propri confini, "civilizzare" i territori conquistati, e «imporre i criteri morali e razziali, il diritto, la virtus e la libertas». Le nazioni sconfitte sarebbero state sottoposte al potere e alla "protezione" di Roma, pur mantenendo la propria lingua e la propria cultura. L'ideologo fascista Giuseppe Bottai, nei suoi Contributi dell'Italia al nuovo ordine, paragonava questa missione storica all'agire degli antichi romani, affermando che «i nuovi italiani avrebbero illuminato il mondo con l'arte, educato con la sapienza, dato ai nuovi territori una salda struttura con la tecnica e l'abilità amministrativa».
Lo "spazio vitale" sarebbe stato suddiviso tra il "piccolo spazio", cioè lo spazio fisico dei soli italiani, e il "grande spazio", abitato invece da altre popolazioni sotto la dominazione coloniale italiana, sul quale esercitare un potere sottratto a ogni ingerenza di potenze estranee. Lo "spazio vitale" sarebbe stato il perimetro entro cui imporre il Nuovo Ordine e nel quale realizzare quel ruolo storico speciale che, secondo la retorica fascista, sarebbe spettato alla nazione italiana.
L'estensione territoriale dello "spazio vitale" italiano doveva coprire l'intero Mediterraneo (il Mare Nostrum della retorica imperiale) e tutta l'Africa settentrionale, dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano. L'inequivocabile ambizione espansiva sul Mare Nostrum si era espressa già in maniera lampante con il massiccio impegno bellico profuso sul fronte della guerra civile spagnola, con 35.000 soldati impegnati, un esborso di oltre 6 miliardi di lire per l'approvvigionamento di materiale bellico, e le ingenti perdite umane, ammontanti a 4.000 morti e 11.000 feriti.

Il progetto mai realizzato

In caso di vittoria delle Potenze dell'Asse, Benito Mussolini era intenzionato ad acquisire il controllo della parte dell'isola di Creta occupata dai tedeschi e le circostanti isole greche del sud, in modo tale da allargare i possedimenti italiani oltre Dodecaneso e le Isole Ionie.
A sud della Quarta Sponda alcuni esponenti fascisti sognarono una Grande Italia che, partendo dal Fezzan, comprendesse Egitto, Sudan e l'Africa Orientale Italiana.
La vittoria degli Alleati e la successiva caduta del Fascismo posero fine al progetto.




Operazione Anthropoid

L'operazione Anthropoid fu la missione militare che ebbe come finalità l'uccisione del generale delle SS Reinhard Heydrich durante la seconda guerra mondiale. Il nome, che in greco significa "dall'aspetto umano", voleva in effetti rimarcare la disumanità del Reichsprotektor di Boemia e Moravia che di umano aveva solo l'aspetto.

L'IDEAZIONE DEL PIANO

Il 27 settembre 1941, a più di due anni dallo smembramento della Cecoslovacchia, il generale delle SS Reinhard Heydrich venne mandato a Praga quale responsabile comandante dei territori già cecoslovacchi occupati dal Reich, ovvero del cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia. A seguito dell'insurrezione del popolo ceco del 28 ottobre 1939, venne mandato per soffocare ogni possibile tentativo di resistenza da parte dei cechi.
Il regime di terrore che instaurò gli valse l'appellativo di "Boia di Praga", e le uccisioni indiscriminate che ne derivarono (sia di oppositori all'occupazione nazista, sia di cittadini innocenti) obbligarono il governo ceco in esilio a Londra a cercare di attuare una risposta militare mirata e di sicuro effetto.
L'azione venne concordata tra il governo ceco, la resistenza nazionale non comunista e il governo inglese.
La Royal Air Force (RAF) britannica addestrò dei paracadutisti cechi in Scozia dal 1941 per questa azione: i paracadutisti erano divisi in due gruppi, per specifiche azioni differenti. C'era il gruppo "Anthropoid", composto dai caporalmaggiori Jan Kubiš e Jozef Gabčík, che aveva come obbiettivo l'eliminazione del generale delle SS Reinhard Heydrich, e il gruppo "Silver A", di cui facevanno parte il tenente Alfred Bartos, il caporalmaggiore Josef Valcik e l' appuntato Jiri Potucek, il cui scopo era di supporto ad "Anthropoid" con spionaggio, attraverso la Resistenza Nazionale Ceca.

SUCCESSO DELL'ATTENTATO E RAPPRESAGLIA TEDESCA

Successivamente a questo gruppo di paracadutisti arrivati nel Protettorato, ne furono paracadutati degli altri: il tenente Adolf Opalka, il sergente Jaroslav Svarc, il caporale Josef Bublic e il caporale Jan Hruby. Il gruppo "Anthropoid e Silver A" vennero paracadutati nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1941. L'attentato ad Heydrich venne eseguito il 27 maggio 1942, nella curva della via Holesovickach, nella zona di Praga Libeň. Dopo un segnale convenuto, il caporalmaggiore Jozef Gabčík aveva provato a sparare con il mitra alla macchina di Heydrich che si stava avvicinando, ma il mitragliatore si inceppò. Allora il caporalmaggiore Jan Kubiš gettò una bomba a mano nell'auto del generale, ferendolo mortalmente. Reinhard Heydrich morì in ospedale il 4 giugno 1942 per setticemia dopo essere caduto in coma senza mai aver ripreso conoscenza.
Il generale Kurt Daluege, che prese il posto di Heydrich, scatenò il terrore contro la popolazione. Fu annunciata una ricompensa di dieci milioni di corone a chi avesse aiutato a trovare gli esecutori dell'attentato e la pena di morte per coloro che li avessero aiutati. Il giorno dopo i funerali di Heydrich il 9 giugno 1942, i tedeschi rasero al suolo il villaggio di Lidice per rappresaglia: uccisero 173 uomini al villaggio, 26 a Praga, 88 bambini furono ammazzati in Polonia, mentre 53 donne trovarono la morte nei campi di concentramento durante la "marcia della morte".
Prima di eseguire l'attentato, ci si pose il problema di dove i paracadutisti potessero nascondersi. A ciò doveva pensare Petr Fafek, che lavorava nella lega contro la tubercolosi. Nello stesso ufficio lavorava Jan Sonneved, capo del Consiglio della Chiesa Ortodossa di Cirillo e Metodio di via Resslova, a Praga. Fafek chiese a Sonneved dove poteva nascondere i paracadutisti. Tutti pensavano fosse compito della Resistenza nazionale Ceca. Parlando con il prete ortodosso Vladimir Petrek, seppero che c'era una catacomba all'interno della chiesa di San Cirillo e Metodio, e attraverso una persona in contatto con i paracadutisti, Jan Zelenka-Hajsky, decisero di rifugiarli nella catacomba.
Tutti si prestarono ad aiutare i paracadutisti: il prete superiore Vaclav Cikl, il sacrestano Vaclav Ornest e il vescovo Gorazd Matej Pavlik, anche se questi ultimi seppero molto tempo dopo che erano riparati nella catacomba. Ma la pressione del terrore a cui fu sottoposta la città fu tale, che uno dei paracadutisti tra gli ultimi arrivati, Karel Čurda tradì. Egli non era a conoscenza del rifugio nella catacomba, ma confessò diversi altri dettagli, sufficienti a consentire ai tedeschi di risalire alla chiesa dove erano nascosti. Il 18 giugno 1942, due battaglioni di SS (tra cui 360 SS di Praga), circondarono la chiesa, confrontandosi contro i sette paracadutisti alle 2:00 di notte. Gli ordini erano quelli di catturarli vivi. Opalka, Kubis e Bublik si difesero dal patio della chiesa fino alle 7:00 di mattina, per poter salvare gli altri quattro nascosti nella catacomba. Perirono tutti e tre, ma i tedeschi si accorsero del rifugio nella catacomba. I tedeschi ripresero quindi l'assalto. I paracadutisti si difesero fino all'ultima pallottola, con la quale si suicidarono per non cadere vivi nelle mani dei tedeschi.
Le famiglie di Vaclav Ornest (sacrestano), Vaclav Cikl (prete superiore), Jan Sonneved (capo del consiglio della chiesa ortodossa di Cirillo e Metodio) vennero deportate a Mauthausen insieme con altre 254 persone, dove perirono. Il vescovo Gorazd venne torturato per tre mesi e poi condannato a morte in un processo farsa insieme ai preti Cikl e Petrek e al signor Sonneved. Con questa azione venne azzerato il vertice della Chiesa ortodossa di Boemia.


lunedì 27 gennaio 2014

27 gennaio: La Giornata della Memoria - L'Olocausto degli Ebrei

Mi sembrava doveroso, in questo 27 gennaio, parlare di quella che è stata la più immane tragedia del XX Secolo: l'Olocausto degli Ebrei.
Un articolo che parla di questo argomento, non può non partire dall'uomo che più di tutti è stato l'istigatore di questa tragedia: Adolf Hitler.
Partiamo dalla fine della Prima Guerra Mondiale: la sconfitta in guerra ha provocato rivoluzioni interne nell'Impero Tedesco e nell'Impero Austro-Ungarico, e ciò ha portato alla fuga delle rispettive famiglie regenti, gli Hohenzollern e gli Asburgo, e la nascita di due nuovi stati: la Germania e l'Austria.
Hitler, che combattè al fronte nelle file dell'esercito del Kaiser Guglielmo e pervaso da un appassionato patriottismo tedesco, avrebbe accusato gli ebrei di avere in qualche modo minato la resistenza dei soldati al fronte accendendo focolai rivoluzionari bolscevichi e indotto i politici a firmare il "vergognoso" Trattato di Versailles.
Per la verità nel futuro Fuhrer, l'acceso antisemitismo nacque ben prima del primo conflitto mondiale, ai tempi della frequentazione della Realschule di Linz, in cui gran parte del corpo docenti e dei suoi compagni di scuola erano xenofobi e ultranazionalisti.
Alla fine del 1919, Hitler entrò a far parte del Partito dei lavoratori tedeschi, un piccolo partito nazionalista che sarebbe poi diventato, sotto la sua guida, il famigerato Partito Nazista.
Il manifesto più indicativo delle sue idee politiche ed antisemite fu il Mein Kampf, scritto insieme a Rudolf Hess durante la detenzione nel carcere di Landsberg, in Baviera, dopo il fallito putsch di Monaco dell'8 novembre 1923: in esso, Hitler, basandosi su documenti falsi noti come i protocolli dei Savi di Sion, formula principalmente la tesi del "pericolo ebraico", secondo la quale esiste una cospirazione ebraica con l'obiettivo di ottenere la supremazia nel mondo. Il testo descrive il processo con cui egli diventa gradualmente antisemita e militarista, soprattutto durante i suoi anni vissuti a Vienna; tuttavia le ragioni più profonde del suo antisemitismo rimangono ancora un mistero. Racconta di non aver incontrato alcun ebreo fino al suo arrivo a Vienna e che la sua mentalità era inizialmente liberale e tollerante. Quando s'imbattè per la prima volta nella stampa antisemita, dice lui, la respinse non reputandola meritevole di seria considerazione. Successivamente gli stessi punti di vista antisemiti vennero accettati e divennero cruciali nel suo programma di ricostruzione nazionale della Germania.
Hitler salì al potere il 30 gennaio 1933, quando prestò giuramento come Cancelliere del Reich tedesco nella camera del Reichstag: la Germania da quel momento non sarebbe più stata la stessa.
In poco tempo il Fuhrer, con una serie di leggi ad oc, instaurò la dittatura e dichiarò il Partito Nazista come l'unico partito ammesso in Germania. Inoltre si sbarazzò di molti nemici all'interno dello stesso Partito Nazista, con la cosiddetta Notte dei lunghi coltelli.
Quando Hindenburg morì, il 2 agosto 1934, Hitler, che in quanto già capo del governo (cancelliere del Reich) non poteva diventare anche Presidente del Reich (capo di stato), creò per sé una nuova carica, quella di Führer, che in pratica gli consentì di cumulare i due incarichi. Neanche un'ora dopo il ferale evento della morte dell'ottuagenario presidente Hindenburg, Hitler decretò che le cariche di Cancelliere e di Presidente della Repubblica sarebbero state fuse in modo tale da garantire al dittatore nazista non soltanto la qualifica di "capo della nazione", ma anche quella più importante e prestigiosa di "comandante supremo delle forze armate", il che imponeva a queste ultime il diretto giuramento di fedeltà nei confronti di Hitler in persona.

La persecuzione degli ebrei e le Leggi di Norimberga

Dopo una doverosa ma breve introduzione, torniamo a quello che è il punto principale di questo articolo.
Molti ebrei, alla nomina di Hitler a Cancelliere, decisero di fuggire dalla Germania, avendo intuito in anticipo le sue intenzione poco ortodosse nei loro confronti. Chi decise di rimanere, lo fece soprattutto a suo rischio e pericolo e purtroppo se ne dovettero pentire amaramente.
Tra il 1933 e il 1934 la politica nazista si mantenne su toni abbastanza moderati per non allarmare elettorato e politici moderati. L’antisemitismo è un fenomeno antico, che certo trascende i confini tedeschi: il partito nazista utilizzò questo risentimento per aumentare i propri elettori. I nazisti accusavano gli ebrei di tutti i problemi della Germania: povertà, disoccupazione e la sconfitta nel primo conflitto mondiale. I tedeschi, inoltre, erano insoddisfatti del Trattato di Versailles che garantiva a Gran Bretagna e Francia il ruolo di uniche potenze imperiali europee. Nel 1933 le prime leggi contro gli ebrei vennero promulgate ma non furono scrupolosamente applicate, ed in ogni caso erano meno devastanti di quelle successive.
Il 1º aprile 1933 medici, negozianti ed avvocati di origine ebraica subirono il primo boicottaggio. Solo sei giorni dopo venne promulgata la legge di "ripristino dell'impiego nel pubblico servizio" che, di fatto, escludeva gli ebrei dall'impiego in ruoli al servizio dello Stato. Queste leggi significarono l'esclusione diretta ed indiretta da lucrative posizione privilegiate, riservate viceversa ai tedeschi "ariani". Da allora gli ebrei dovettero lavorare in posizioni umili e sottoposte, comunque, a persone non ebree.
Il 15 settembre 1935 vennero promulgate le famigerate Leggi di Norimberga, che impiegavano una base pseudo-scientifica per la discriminazione razziale nei confronti della comunità ebraica tedesca nel mirino razzista . Le persone con quattro nonni tedeschi vennero considerate di "sangue tedesco", mentre era considerato ebreo chi aveva tre o quattro nonni ebrei. Le persone con uno o due nonni ebrei erano considerate di "sangue misto". In mancanza di differenze esteriori percepibili, i nazisti stabilirono che, per determinare la razza originaria degli slavi, la fede religiosa praticata dagli stessi era sufficiente a qualificarli come ebrei, e quindi sub-umani.
Queste leggi erano due e prevedevano appunto:

  • La prima legge, la legge sulla cittadinanza del Reich, negava agli ebrei la cittadinanza germanica. Gli ebrei non furono più considerati cittadini tedeschi (Reichsbürger), divenendo Staatsangehöriger (letteralmente «appartenenti allo Stato»). Questo comportò la perdita di tutti i diritti garantiti ai cittadini come, ad esempio, il diritto di voto.
  • La seconda legge, la legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco, proibiva i matrimoni e le convivenze tra "ebrei" (per la prima volta venne utilizzato esplicitamente il termine invece che il precedente "non-ariani") e "tedeschi" . La legge proibiva inoltre il lavoro di ragazze "tedesche" al disotto dei quarantacinque anni di età in famiglie "ebree".

Nel corso del 1936 gli ebrei vennero banditi da tutte le professioni, impedendo efficacemente loro di esercitare una qualche influenza in politica, nella scuola e nell'industria. Di conseguenza gli ebrei non poterono in nessuna maniera reagire alle azioni antisemite, per esempio ricorrendo a pressioni economiche o politiche sul partito nazista.
Nel 1937-1938 vennero emanate nuove leggi che penalizzarono finanziariamente gli ebrei a causa delle loro origini. A partire dal 1º marzo 1938 il governo tedesco non stipulò più contratti con aziende appartenenti ad ebrei e dal 30 settembre dello stesso anno solo dottori "ariani" poterono curare i tedeschi "ariani". La cura dei pazienti ebrei era, di fatto, già impedita dalle precedenti leggi che escludevano i medici ebrei dalla professione.
Il 17 agosto 1938 gli ebrei furono obbligati ad aggiungere "Israel" (se maschi) o "Sarah" (se donne) al loro nome e, il 5 ottobre, una grande "J" (che stava per Juden, ossia giudeo) venne timbrata sui loro passaporti. Il 15 novembre i bambini ebrei vennero esclusi dalle scuole pubbliche. Dall'aprile 1939 tutte le imprese ebree erano ormai fallite a seguito della pressione finanziaria e al calo dei profitti, o erano state persuase a cedere la propria attività al governo nazista. Questo ridusse ulteriormente i loro diritti come esseri umani; erano ormai davvero separati dal resto della popolazione tedesca.

La Notte dei Cristalli

Il 7 novembre 1938 Herschel Grynszpan, un giovane ebreo polacco, per vendicare l'espulsione dei suoi genitori dalla Germania, sparò al diplomatico tedesco Ernst Eduard vom Rath all'ambasciata tedesca di Parigi. Joseph Goebbels, Gauleiter di Berlino e Ministro della propaganda tedesca, colse l'opportunità di ben figurare con Hitler ordinando una massiccia repressione a Berlino. Durante quella che venne chiamata Notte dei cristalli, squadre di SS compirono raid contro i negozi ebrei della città distruggendone le vetrate ed incendiando numerose sinagoghe. Nell'evento persero la vita circa 100 ebrei ed altri 20.000 vennero deportati verso i campi di concentramento che erano stati creati da poco. Molti cittadini tedeschi inorridirono nello scoprire la reale portata dei danni ed Hitler, temendo per la propria reputazione, diede ordine che ne fosse addossata la responsabilità agli ebrei. Essi furono (per giunta) obbligati ad un risarcimento collettivo di un miliardo di Reichsmark; la somma venne raccolta con la confisca del 20% della proprietà di ogni ebreo.
Si parlò di 7500 negozi ebraici distrutti durante la notte del 9 novembre, di quasi tutte le sinagoghe incendiate o distrutte (secondo i dati ufficiali erano stati 191 i templi ebraici dati alle fiamme, e altri 76 distrutti da atti vandalici). Il numero delle vittime decedute per assassinio o in conseguenza di maltrattamenti, di atti terroristici o di disperazione ammontava a varie centinaia, senza contare i suicidi. Circa 30 000 ebrei furono deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. Relativamente al campo di Dachau, nel giro di due settimane vennero internati oltre 13 000 ebrei; quasi tutti furono liberati nei mesi successivi (anche se oltre 700 persero la vita nel campo), ma solo dopo esser stati privati della maggior parte dei loro beni.
La polizia ricevette l'ordine di non intervenire e i vigili del fuoco badavano soltanto che il fuoco non attaccasse anche altri edifici. Tra le poche eccezioni ci fu l'agente Wilhelm Krützfeld che impedì che il fuoco radesse al suolo la Nuova Sinagoga di Berlino, e che per la sua azione venne sanzionato internamente.
Nessuno tra i vandali, assassini e incendiari venne processato.
Già pochi giorni dopo i pogrom, tra i massimi dirigenti del partito si diffuse l'opinione che essi erano stati una sorta di passo falso.
La violenza applicata venne ritenuta eccessiva da molti funzionari. I saccheggi compiuti ottenendo vantaggi personali crearono alcuni problemi al partito e, all'interno del partito, vi furono forti critiche per la "distruzione di beni patrimoniali priva di senso ai fini economici".
La risonanza all'estero fu ampia, gli Stati Uniti richiamarono l'ambasciatore affinché riferisse sull'accaduto.
Da parte della popolazione ci fu una partecipazione nulla o minima ai pogrom – a parte alcuni curiosi o isolati casi di saccheggio. La versione fornita dalla propaganda nazionalsocialista "di una sollevazione popolare spontanea contro gli ebrei" non fu considerata realistica dalla popolazione.
Ci furono rari e isolati casi di protesta contro i pogrom.
L'opinione interna al partito che i pogrom fossero poco utili nel contesto dell'indiscusso obiettivo di rendere la Germania "judenfrei" cioè libera da persone di religione ebraica è rilevante per due motivi:
  • Molti alti funzionari di partito dopo il 9 novembre presero le distanze dalla pianificazione e esecuzione dei pogrom e il ruolo del "capro espiatorio" cadde completamente sul ministro della propaganda Joseph Goebbels, un comportamento che proseguì fin dopo il 1945.
Recenti ricerche mettono in dubbio la tesi di Goebbels come unico responsabile. Fino ad oggi non è chiaro in quale misura Hitler stesso fosse coinvolto nella pianificazione dei pogrom. Può essere considerato probabile che Hitler e altri alti funzionari come Hermann Göring e Heinrich Himmler sapessero già a partire dal 7 novembre dei pogrom pianificati per il 9 novembre ed è possibile che fossero coinvolti in modo attivo nella pianificazione. Insieme a Himmler anche la partecipazione delle SS nella preparazione ed esecuzione dei pogrom probabilmente fu maggiore di quanto ritennero gli storici dell'immediato dopoguerra.
  • i pogrom di novembre furono un caso unico. Non ne vennero organizzati altri. Al loro posto la dirigenza del partito decise una linea diversa: discriminazione della popolazione di religione ebraica con leggi e regolamenti e violenze e maltrattamenti solo all'interno dei Lager.
Il 12 novembre 1938 vi fu una conferenza presieduta da Hermann Göring con oltre 100 partecipanti che si proponeva di coordinare il prosieguo delle politiche statali nei confronti della popolazione di religione ebraica.
Le conseguenze furono molte disposizioni che provocarono l'allontanamento sistematico dalla vita economica e culturale tedesca di tutti gli ebrei. Le aziende di proprietà di ebrei furono chiuse e molti furono espropriati o costretti a vendere le loro proprietà. Furono esclusi dalla partecipazione a eventi pubblici, dalla frequenza di scuole e scuole superiori e dall'assistenza pubblica. Tutte queste misure erano mirate a mettere in difficoltà gli ebrei e costringerli all'emigrazione.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale le repressioni aumentarono: restituzione della patente di guida e dei veicoli, esilio forzato, orari fissi per fare la spesa, coprifuoco, sequestro di biciclette, apparecchi elettrici e abiti di lana, divieto di utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici, di entrare in ospedali, divieto di uso del telefono, d'acquisto dei giornali, libri, fiori e alcuni alimenti, ecc.
Come identificazione pubblica vi fu, a partire dal 1º settembre 1941, la stella ebraica.
Le misure di oppressione culminarono nella ghettizzazione sistematica, nella deportazione e infine nell'Olocausto.

L'antisemitismo in Italia

Ma nel frattempo, anche nell'Italia fascista si metteva in atto quella che ancora oggi è considerata una delle maggiori macchie della storia del nostro Paese: le leggi razziali.
Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie.
Il fascismo – attraverso l'emanazione della Legge nº 1024 del 13 luglio 1939-XVII, Norme integrative del Regio decreto–legge 17 novembre 1938-XVI, n.1728, sulla difesa della razza italiana – ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato. Con la L. 1024/1939-XVII regolò infatti la «facoltà del Ministro per l'interno di dichiarare, su conforme parere della Commissione, la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile». Si trattò in sostanza del conferimento di un potere molto vasto alla Commissione per le discriminazioni: questa infatti poteva formulare un parere motivato, senza poterne rilasciare «copia a chicchessia e per nessuna ragione», sulla base del quale il Ministero dell'interno avrebbe a sua volta emanare un Decreto di dichiarazione della razza.
Agli ebrei arianizzati – cioè a quegli ebrei che in virtù della Legge Legge nº 1024 del 13 luglio 1939-XVII ricevettero per Decreto la dichiarazione di appartenenza alla razza ariana – le leggi razziali furono applicate con alcune deroghe e limitazioni.
La legislazione antisemita comprendeva: il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni e per le società private di carattere pubblicistico – come banche e assicurazioni – di avere alle proprie dipendenze ebrei, il divieto di trasferirsi in Italia a ebrei stranieri, la revoca della cittadinanza italiana concessa a ebrei stranieri in data posteriore al 1919, il divieto di svolgere la professione di notaio e di giornalista e forti limitazioni per tutte le cosiddette professioni intellettuali, il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei – che non fossero convertiti al cattolicesimo e che non vivessero in zone in cui i ragazzi ebrei erano troppo pochi per istituire scuole ebraiche – nelle scuole pubbliche, il divieto per le scuole medie di assumere come libri di testo opere alla cui redazione avesse partecipato in qualche modo un ebreo. Fu inoltre disposta la creazione di scuole – a cura delle comunità ebraiche – specifiche per ragazzi ebrei. Gli insegnanti ebrei avrebbero potuto lavorare solo in quelle scuole.
Infine vi fu una serie di limitazioni da cui erano esclusi i cosiddetti arianizzati: il divieto di svolgere il servizio militare, esercitare il ruolo di tutore di minori, essere titolari di aziende dichiarate di interesse per la difesa nazionale, essere proprietari di terreni o di fabbricati urbani al di sopra di un certo valore. Per tutti fu disposta l'annotazione dello stato di razza ebraica nei registri dello stato civile.
Un documento fondamentale, che ebbe un ruolo non indifferente nella promulgazione delle cosiddette leggi razziali è il Manifesto degli scienziati razzisti (noto anche come Manifesto della Razza), pubblicato una prima volta in forma anonima sul Giornale d'Italia il 15 luglio 1938 con il titolo Il Fascismo e i problemi della razza, e poi ripubblicato sul numero uno della rivista La difesa della razza il 5 agosto 1938 firmato da 10 scienziati, che così esordiva: « È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo arianonordico. »
Il 25 luglio 1938 – dopo un incontro tra i dieci redattori della tesi, il ministro della cultura popolare Dino Alfieri e il segretario del PNF Achille Starace – la segreteria politica del PNF comunica il testo completo del lavoro, corredato dall'elenco dei firmatari e degli aderenti.
Tra le successive adesioni al manifesto spiccano quelle di personaggi illustri – o destinati a diventare tali.
Nonostante alcuni sostengano che Mussolini non fosse antisemita (tra l'altro una delle sue amanti, Margherita Sarfatti, era ebrea), Galeazzo Ciano riporta nel suo diario per la giornata del 14 luglio 1938: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del Giornale d'Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l'ha quasi completamente redatto lui».
Al Regio decreto legge del 5 settembre 1938 – che fissava «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista» – e a quello del 7 settembre – che fissava «Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri» – fa seguito (6 ottobre) una «dichiarazione sulla razza» emessa dal Gran Consiglio del Fascismo. Tale dichiarazione viene successivamente adottata dallo Stato sempre con un Regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello stesso anno.
Sono dunque molti i decreti che, tra l'estate e l'autunno del 1938, sono firmati da Benito Mussolini in qualità di capo del Governo e poi promulgati da Vittorio Emanuele III. Tutti tendenti a legittimare una visione razzista della cosiddetta questione ebraica. L'insieme di questi decreti e dei documenti sopra citati costituisce appunto l'intero corpus delle leggi razziali.
Alcuni degli scienziati e intellettuali ebrei colpiti dal provvedimento del 5 settembre (riguardante in special modo il mondo della scuola e dell'insegnamento) emigrano negli Stati Uniti. Tra loro ricordiamo: Emilio Segrè, Achille Viterbi (padre di Andrea Viterbi), Bruno Pontecorvo, Bruno Rossi, Ugo Lombroso, Giorgio Levi Della Vida, Mario Castelnuovo-Tedesco, Camillo Artom, Ugo Fano, Roberto Fano, Salvatore Luria, Renzo Nissim, Piero Foà, Luigi Jacchia, Guido Fubini, Massimo Calabresi, Franco Modigliani. Altri troveranno rifugio in Gran Bretagna (Arnaldo Momigliano, Elio Nissim, Uberto Limentani, Guido Pontecorvo); in Palestina (Umberto Cassuto, Giulio Racah); o in Sud America (Carlo Foà, Amedeo Herlitzka, Beppo Levi). Con loro lasceranno l'Italia anche Enrico Fermi e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.
Chi decide di rimanere in Italia è costretto ad abbandonare la cattedra. Tra questi: Tullio Ascarelli, Walter Bigiavi, Mario Camis, Federico Cammeo, Alessandro Della Seta, Donato Donati, Mario Donati, Marco Fanno, Gino Fano, Federigo Enriques, Giuseppe Levi, Benvenuto Terracini, Tullio Levi-Civita, Rodolfo Mondolfo, Adolfo Ravà, Attilio Momigliano, Gino Luzzatto, Donato Ottolenghi, Tullio Terni e Mario Fubini.
L'insegnamento nelle scuole riservate agli ebrei tuttavia non viene proibito.
Tra le dimissioni illustri da istituzioni scientifiche italiane ci sono quelle di Albert Einstein, allora membro dell'Accademia dei Lincei.
Il 5 agosto 1938 sulla rivista La difesa della razza viene pubblicato il seguente manifesto:
« Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
  • LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano a ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
  • ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
  • IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
  • LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
  • È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
  • ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico–linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
  • È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano–nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra–europee, questo vuol dire elevare l'italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.
  • È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
  • GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
  • I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono a un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani. »

Già dall'autunno del 1938 l'allontanamento degli studenti di fede ebraica dalle scuole pubbliche italiane, avviene in anticipo di qualche giorno rispetto a quelle del Terzo Reich. A seguito del Decreto Legge del 17 novembre 1938, il cui articolo 13 vietava alle persone di confessione ebraica di lavorare alle dipendenze di enti pubblici, aziende statali e parastatali, in Stipel il 1º maggio 1939 furono licenziati 14 dipendenti. Al termine del secondo conflitto mondiale, uno di questi lavoratori ricorse alle vie legali per essere riassunto. Il processo si concluse il 24 gennaio 1948, con una sentenza della Cassazione, la quale obbligò la società alla riassunzione del lavoratore, senza però garantire il diritto all'indennità d'anzianità per il periodo di estromissione, e senza il reintegro nella posizione precedentemente occupata.
Le leggi razziali sono state abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio 1944.

Deportazione e ghettizzazione

Il 24 gennaio 1939 Goring diede l'incarico a Reinhard Heydrich, capo dell'SD, di trovare "una soluzione al problema ebraico, secondo le circostanze del momento"; la scelta della dirigenza del Reich, dopo le misure di esclusione dalla vita economica e sociale, si basava sull'incremento massimo delle politiche di emigrazione forzata fino a rendere la Germania "libera da ebrei". Il comandante della Gestapo, Heinrich Müller, divenne il responsabile dell'Agenzia centrale per emigrazione ebraica di Berlino, mentre un ruolo fondamentale nel programma di emigrazione forzata venne assunto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann già distintosi in precedenza per i suoi successi. Eichmann, attivo nella sezione II-112 dell'SD e poi responsabile dell'"dipartimento giudaico" delle SS (Judenreferat), esperto di questioni ebraiche, aveva partecipato dal 1937 al programma di emigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina (attivato fin dal 1933 con l'Haavara Agreement) e poi nell'ottobre 1938 aveva diretto con successo la sezione emigrazione costituita a Vienna dopo l'Anschluss che aveva forzato la partenza di 50.000 ebrei austriaci in sei mesi.
La politica di emigrazione forzata, perseguita dal Terzo Reich fin dal 1933, non ottenne risultati decisivi e si trovò di fronte una serie di difficoltà insormontabili mentre al contrario la popolazione ebrea all'interno dell'area di influenza tedesca, in continua crescita con la politica espansionistica di Hitler, aumentava di numero. Dal 1933 al 1938 erano emigrati circa 150.000 ebrei e nel 1939 l'Ufficio di Eichmann, esercitando forti pressioni, riuscì a far emigrare altre 78.000 persone. Tuttavia il programma di emigrazione in Palestina, favorito da contatti tra sionisti e agenti tedeschi dell'SD, dovette essere sospeso per i dubbi di Hitler di fronte alla prospettiva della rinascita di una nazione ebraica in Terra santa e per il rifiuto britannico di accogliere altri ebrei a causa delle tensioni con gli arabi. Inoltre anche altre nazioni, come la Svizzera e la Svezia, ridussero fortemente l'accoglienza; in Polonia, Romania e Ungheria si stavano sviluppando correnti antisemitiche, la Francia rifiutò di accettare altri ebrei tedeschi, e anche Stati Uniti e Gran Bretagna inasprirono le leggi sull'immigrazione.
Rimasero attive ancora precarie vie di emigrazione ebraica attraverso Lituania, Unione Sovietica, Shangai, Giappone (alcuni Ebrei si rifugiarono infatti in estremo Oriente) e attraverso Spagna e Portogallo; fino al marzo 1941 altri 13.000 ebrei riuscirono a raggiungere illegalmente la Palestina, attraverso i porti sul Danubio della Romania, mediate accordi tra l'SD e la struttura sionista dell'Aliyah Bet, l'immigrazione illegale organizzata dalle autorità ebraiche in Palestina.
Nonostante le crescenti difficoltà, tra il 1933 e il 1939 la popolazione ebrea nel vecchio Reich si ridusse, con l'emigrazione e l'espulsione, da 503.000 a 240.000 persone, mentre anche il numero degli ebrei presenti in Austria (180.000) e in Cecoslovacchia (85.000) diminuì del 50% grazie all'attività dell'ufficio di Eichmann. Quasi la metà dei circa 400.000 profughi ebrei fuggiti dalla Germania o dai territori dominati dai tedeschi si stabilirono nei paesi europei e sarebbero rimasti esposti alla macchina del genocidio attivata dal Terzo Reich negli anni della seconda guerra mondiale.
L'inizio della seconda guerra mondiale e l'invasione della Polonia provocarono un radicale cambiamento della "questione ebraica" e l'attivazione da parte del Reich di nuove iniziative sempre più dure; nello spazio di poche settimane la Germania occupò territori in cui vivevano quasi 3 milioni di ebrei, già in precedenza soggetti a forti restrizioni ed esposti a fenomeni di antisemitismo da parte delle autorità polacche. Nei territori della Polonia che la Germania annesse direttamente (il cosiddetto Warthegau) erano presenti 603.000 ebrei, mentre nel costituendo Governatorato Generale vivevano oltre 2 milioni di ebrei.
Le prime misure contro questa numerosa popolazione ebraica furono immediate: nel corso dell'operazione Tannenberg sette "gruppi operativi speciali" delle SS (Einsatzgruppen) si incaricarono dell'individuazione e soppressione violenta delle "élite" polacche (potenziali oppositori politici e intellettuali in grado di salvaguardare la cultura polacca) e degli ebrei. In questa fase i polacchi furono particolarmente colpiti e circa 39.000 persone furono uccise sommariamente dai tedeschi, mentre la persecuzione anti-ebraica fu meno sistematica anche se provocò circa 7.000 vittime. Inoltre già alla fine di ottobre 1939 ebbe inizio l'espulsione degli ebrei presenti nei territori annessi al Reich e la loro deportazione nel Governatorato Generale; in un documento del 21 settembre 1939 Reinhard Heydrich, il capo dell'SD e responsabile dell'operazione Tannenberg, delineò le direttive generali della politica antiebraica.
Heydrich distinse tra tempi lunghi e tempi brevi, e tra obiettivi immediati e "meta finale" (Endziel); delineò il programma di deportazione degli ebrei, riservò ai comandi subordinati la definizione delle modalità pratiche di attuazione delle misure; identificò il territorio a est di Cracovia, tra la Vistola e il Bug Occidentale, come una possibile "riserva ebraica" (Judenreservat) in cui evacuare tutti gli ebrei. In una prima fase era però necessario concentrare gli ebrei in pochi centri urbani di raccolta secondo lo schema del ghetto; anche gli ebrei delle campagne dovevano essere trasferiti in questi centri. Questa concentrazione sarebbe stata utile anche per agevolare in futuro l'esecuzione di ulteriori misure antiebraiche. In questo senso lo stesso Heydrich scrisse il 29 settembre 1939 in modo criptico, in una lettera a Kurt Daluege, che "alla fine il problema ebraico" sarebbe stato risolto "in una maniera speciale" (Schliesslich, soll das Judenproblem einer besonderen Regelung unterworfen werden).
Elementi caratterizzanti dei ghetti sarebbero divenuti lo straordinario affollamento, la loro "chiusura", decisa quasi subito, secondo la quale le enclave ebraiche sarebbero state totalmente isolate dal punto di vista sociale, territoriale ed economico dal resto della città, la diffusione di fame, malattia e quindi morte, l'istituzione da parte tedesca di "Consigli ebraici" (Jüdische Altestenräte, conosciuti come Judenräte), una mistificazione di tradizionali organi di autogoverno formati dai maggiorenti ebrei della comunità, incaricati di mantenere i rapporti con i tedeschi, di collaborare e di dare pronta esecuzione alle direttivi delle autorità del Reich.
Il primo ghetto a essere ufficialmente costituito fu quello di Łódź il 10 dicembre 1939, seguirono poi Varsavia (2 ottobre 1940), Cracovia (3 marzo 1941), Lublino (24 marzo 1941), Kielce (marzo 1941), Radom (aprile 1941). La vita degli ebrei in queste aree totalmente isolate e sovraffollate (il ghetto di Varsavia arrivò a contare 400.000 persone e quello di Łódź 200.000), divenne estremamente difficile: la fame e le malattie provocarono tassi di mortalità elevatissimi, si diffuse la microcriminalità, la presenza dei Judenräte e di una polizia ebraica al servizio dei tedeschi divise la comunità e favorì recriminazioni e conflittualità, si moltiplicarono rivalità e scontri. Inoltre gli ebrei dei ghetti vennero sfruttati nel lavoro coatto al servizio dell'apparato produttivo del Reich.
Oltre a organizzare la concentrazione degli ebrei polacchi nei ghetti, Heinrich Himmler, capo delle SS, del RSHA e incaricato dal 7 ottobre 1939 di dirigere anche il RKFDV (Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstums, "commissariato del Reich per la difesa della razza tedesca"), tentò di cominciare una gigantesca operazione di pulizia etnica, germanizzazione e deportazione, studiata per decimare la popolazione polacca, colonizzare le terre con tedeschi etnici, e soprattutto svuotare la Germania e i territori recentemente annessi, dagli ebrei ancora presenti (circa 380.000 persone). L'"Ufficio per l'emigrazione ebraica" diretto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann studiò i progetti per la deportazione degli ebrei tedeschi, austriaci e del Protettorato di Boemia e Moravia nel Governatorato Generale, già sovraffollato di ebrei nei ghetti.
Le deportazioni ebbero inizio nell'ottobre 1939 e alcune migliaia di ebrei provenienti da Vienna, Ostrava e Katowice vennero trasferiti a Nisko, nei pressi di Lublino, ma il progetto andò rapidamente incontro al fallimento; gravi difficoltà di trasporti, la confusione organizzativa e logistica e le vivaci proteste di Hans Frank, responsabile con pieni poteri nel Governatorato, arrestarono molto presto le evacuazioni nella ipotizzata "riserva ebraica". Frank, alle prese con la sua massa di ebrei già presenti e desideroso a sua volta di liberarsi di loro, rifiutò di accoglierne altri e intervenne con Hermann Göring che, preoccupato soprattutto per i possibili danni economici provocati dai vasti trasferimenti di popolazione previsti, riuscì a bloccare il progetto. L'11 marzo 1940 Himmler fu costretto a interrompere la deportazioni e quindi il piano della "riserva ebraica" tra la Vistola e il Bug in cui concentrare tutti gli ebrei del Reich e dei territori occupati venne abbandonato.
La vittoria tedesca sul fronte occidentale dell'estate 1940 sembrò aprire prospettive di potere mondiale per il Terzo Reich e in questo contesto emersero nuovi progetti territoriali per risolvere il "problema" degli ebrei d'Europa. Fin dal 27 maggio 1940 Himmler aveva inviato un dettagliato memorandum a Hitler in cui ritornava sui suoi grandiosi progetti di reinsediamento, deportazione e germanizzazione delle terre dell'est e proponeva di evacuare gli ebrei in una non meglio precisata "colonia in Africa o altrove"; il Reichsführer in questo documento riteneva "non da tedeschi" adottare la soluzione "di tipo bolscevico" dello sterminio di massa.
Il 3 luglio 1940 il ministero degli Esteri del Reich presentò la sua proposta: il nuovo vice-responsabile agli affari ebraici del ministero, Franz Rademacher (alle dipendenze di Martin Luther), propose in un documento la deportazione di tutti gli ebrei in Madagascar, dove avrebbero vissuto sotto sorveglianza tedesca come garanzia in caso di complicazioni con la comunità ebraica americana. Il "piano Madagascar", che riprendeva vecchie ipotesi di deportazione sull'isola del XIX secolo e degli anni trenta di origine polacca e francese, sembrò realizzabile, in vista della vittoria finale ritenuta imminente sulla Gran Bretagna, e venne divulgato a livello diplomatico.
Si discusse di cessione del Madagascar da parte della Francia alla Germania come "mandato" e ci furono colloqui con italiani e rumeni. Adolf Eichmann parlò del trasferimento di quattro milioni di ebrei in un paese non precisato, e anche Hans Frank parlò il 12 luglio 1940 di intera "tribù ebraica" evacuata in Madagascar. Heydrich convenne sulla necessità di una soluzione territoriale, e anche Hitler in agosto disse di completa "evacuazione" del popolo ebraico dopo la guerra.
Fu in un documento del 4 dicembre 1940, preparato dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann per un discorso di Himmler ai Gauleiter, che comparve per la prima volta l'espressione "soluzione finale della questione ebraica" (Endlösung der Judenfrage); si trattava di un consuntivo sul numero degli ebrei che avevano lasciato a quella data il territorio del Reich e del Protettorato (501.711 persone) e sul numero di quelli ancora rimasti (315.642). Riguardo alla "soluzione finale", Eichmann la identificava sempre nel trasferimento di circa 5,8 milioni di ebrei "al di fuori dello spazio economico europeo, in un territorio ancora da definire".
Gii sviluppi bellici fecero svanire ben presto questi progetti; la crescente resistenza britannica rese del tutto impraticabile un eventuale trasporto via mare in Madagascar, e già prima dell'invasione dell'Unione Sovietica il piano era ormai stato abbandonato da Hitler che disse a Martin Bormann di aver riflettuto su altre idee "non altrettanto gradevoli". Rademacher nell'ottobre 1941 convenne dell'irrealizzabilità del progetto e scrisse che il Führer aveva deciso di deportare gli ebrei "non in Madagascar ma all'est".

Questione ebraica ad est

La fase di pianificazione dell'invasione dell'Unione Sovietica (operazione Barbarossa) fu caratterizzata da una serie di riunioni, direttive e decisioni politico-militari che ebbero conseguenze decisive anche per la popolazione ebraica dell'est. Nei territori sovietici che furono occupati dalla Wehrmacht nei primi mesi dell'invasione risiedevano 4 milioni di ebrei, di cui 2 milioni nei territori polacchi e baltici recentemente annessi dall'URSS; circa 1,5 milioni riuscirono a fuggire abbandonando le proprie case e trasferendosi verso est insieme alle truppe sovietiche in ritirata, ma gli altri, concentrati prevalentemente nelle aree urbane, subirono le micidiali conseguenze dell'arrivo dell'invasore tedesco.
Le prime decisioni vennero prese durante due riunioni di Reinhard Heydrich con il generale Eduard Wagner, quartiermastro generale dell'esercito tedesco, e con Hermann Göring il 26 marzo 1941; con Wagner, Heydrich concordò che le SS avrebbero avuto piena autonomia per salvaguardare la sicurezza dietro il fronte combattente nei territori di cui si prevedeva l'occupazione. Nel successivo incontro con Göring invece Heydrich discusse una nuova "soluzione per la questione ebraica"; la proposta verteva sulla deportazione di tutti gli ebrei europei all'est, probabilmente nell'estremo nord sovietico, dove sarebbero stati tenuti sotto sorveglianza. Anche Joseph Goebbels nel suo diario fece riferimento il 20 giugno a una riunione con Hitler e Hans Frank in cui si era parlato di deportare lontano all'est gli ebrei del Governatorato Generale e scrisse di "disintegrazione graduale della popolazione ebrea polacca".
Dal 12 al 15 giugno Heinrich Himmler riunì nel suo castello in Sassonia a Wewelsburg, oltre a Heydrich, i principali generali delle SS, Kurt Daluege, Erich von dem Bach-Zelewski, Karl Wolff, Rudolf Brandt, Werner Lorenz, Friedrich Jeckeln e Hans-Adolf Prützmann; illustrò ampiamente le visioni di germanizzazione e rivoluzione razziale e i progetti globali del nazismo. Dopo la conquista dell'URSS tutti gli ebrei del continente sarebbero stati in mano tedesca e sarebbero stati eliminati dall'Europa; gli slavi sarebbero stati decimati, parlò di eliminare 20-30 milioni di persone.
Dal punto di vista operativo nell'aprile 1941 furono quindi costituiti, sulla base delle esperienze precedenti in Polonia, quattro gruppi operativi mobili delle SS (Einsatzgruppen) incaricati, formalmente alle dipendenze dell'esercito territoriale ma in realtà a disposizione dell'RSHA, di eliminare qualunque opposizione nei territori occupati, di mantenere l'ordine e di sterminare membri del partito comunista, eventuali partigiani ed ebrei. Inoltre una direttiva di Heydrich del 29 giugno stabilì che, oltre a eliminare tutti i funzionari ebrei, fossero incoraggiati pogrom antiebraici (definiti selbstbereinigung, "autoepurazione") sfruttando i diffusi sentimenti antisemiti presenti nelle popolazioni e nelle minoranze nazionaliste dei Paesi Baltici, della Bielorussia e dell'Ucraina.
A partire dal luglio 1941 si scatenò nelle terre dell'est un'ondata di violenze, di massacri e di stermini di massa: in novembre 1941 Himmler poté comunicare a Hitler che erano già stati eliminati, mediante fucilazioni sommarie ed esplosioni di violenza dei nazionalisti locali, 363.211 ebrei, mentre una statistica interna del 1943 calcolò che a opera degli Einsatzgruppen erano stati "trasferiti all'est" (eufemismo per "sterminati") 633.300 ebrei. Fin dal 16 luglio 1941 il Führer aveva parlato delle nuove "possibilità" di eliminare tutti i nemici aperte dalle conquiste all'est e dalla lotta "contro i partigiani". Alla fine di luglio Heinrich Himmler diramò un "ordine esplicito" (ausdrücklicher Befehl) in cui prescriveva ad alcune formazioni SS di uccidere "tutti gli ebrei" (sämtliche Juden), e in una successiva comunicazione al comandante del Einsatzgruppe B parlò di fucilare, se ci fosse stato bisogno (gegenbenefalls), anche donne e bambini che quindi in futuro non avrebbero potuto trasformarsi in vendicatori. Il 15 agosto Himmler si recò personalmente a Minsk e assistette alle esecuzioni di ebrei da parte degli Einsatzgruppen.
Particolarmente micidiale risultò l'operato del Einsatzgruppe A guidato da Franz Stahlecker nei Paesi Baltici; i nazionalisti locali di Lituania e Lettonia scatenarono pogrom sanguinosi, la Wehrmacht collaborò senza difficoltà con le SS per il rastrellamento degli ebrei, esecuzioni di massa pubbliche vennero effettuate a Ljepaja, a Daugavpils, a Riga. In ottobre l'arrivo del generale SS Friedrich Jeckeln, organizzatore degli eccidi in Ucraina, incrementò ancora lo sterminio, la regione baltica divenne il primo territorio europeo dichiarato judenfrei ("libero da ebrei"), entro l'inizio del 1942 erano ormai stati uccisi 229.052 ebrei. Anche gli altri Einsatzgruppen si impegnarono a fondo negli eccidi: a metà ottobre lo Einsatzgruppe B di Otto Rasch riferì l'uccisione di 75.000 ebrei, a novembre lo Einsatzgruppe C, guidato da Arthur Nebe, calcolava 45.467 vittime e il 12 dicembre Otto Ohlendorf, comandante del Einsatzgruppe D in azione nel settore meridionale del fronte orientale riferì di 54.696 uccisioni. Massacri di massa ebbero luogo il 29 settembre 1941 a Babi Yar, nei pressi di Kiev, dove furono uccisi dai tedeschi 33.700 ebrei, e a Kam'janec'-Podil's'kyj dove il generale Jeckeln organizzò lo sterminio in agosto di oltre 20.000 ebrei.
Nel corso della prima fase dei massacri gli Einsatzgruppen uccisero circa 1.000 persone al mese; i compiti venivano svolti con precisione burocratica e con un'attenta pianificazione logistica; le tecniche di sterminio erano standardizzate. Le vittime venivano condotte nei pressi di fossati anticarro o crateri di granata o erano costrette a scavare loro stesse delle fosse; quindi venivano uccise con il fuoco di mitragliatrice o armi leggere. In alcuni reparti era in azione "specialisti nel tiro alla nuca" (Genickschsspezialisten), altri impiegavano il tiro di squadra a distanza, un altro metodo impiegato era il cosiddetto "sistema delle sardine" (Ölsardinenmanier) che prevedeva di far distendere sul fondo del fossato il primo gruppo e poi di sterminarlo con il fuoco incrociato dall'alto, seguito da altri cinque o sei gruppi successivi che venivano fatti distendere sopra i cadaveri. Queste tecniche combinavano la macabra efficacia con la necessità di mantenere impersonali le esecuzioni per conservare il morale e la solidità nervosa degli esecutori dei massacri.
A partire dalla fine dell'anno 1941 ebbe inizio la seconda ondata di massacri nelle terre dell'est: i compiti degli Einsatzgruppen della SD vennero progressivamente affidati all'apparato di repressione organizzato dalla nuova amministrazione dei territori occupati dell'est: entro la metà del 1942 165.000 uomini (saliti a 300.000 all'inizio del 1943) appartenenti alla Ordnungpolizei (quindici battaglioni suddivisi tra Schutzpolizei nelle città e Gendarmerie nelle campagne), a formazioni di sicurezza dell'esercito (Feldgendarmerie e Geheime Feldpolizei) o per la cosiddetta "lotta contro le bande" (Bandenkampfverbände) e a reparti ausiliari baltici, bielorussi e ucraini reclutati sul posto (organizzati in Schutzmannschaft mobile, Ordnungsdienst e Hilfspolizei stanziali) continuarono l'opera di sterminio degli ebrei ancora presenti nei Reichkommissar e nelle retrovie del fronte.
I Reichkommissar Heinrich Lohse (Ostland) e Erich Koch (Ucraina) diedero il massimo impulso allo sterminio nei loro rispettivi territori; oltre alle fucilazioni si fece ricorso ad autocarri a gas provenienti da Berlino che fornirono un servizio mobile di gassazione. Gli ebrei scampati alla prima ondata di massacri erano in parte rifugiati nelle foreste, isolati o inseriti in gruppi partigiani sovietici, e in parte concentrati in numerosi ghetti nell'Ostland o in Ucraina (i principali a Riga, Kaunas, Vilnius, Minsk, Pinsk). Nel territorio vennero condotte una serie di operazioni anti-partigiane dei Bandenkampfverbände che si conclusero con l'uccisione di gran parte degli ebrei; nei ghetti, nonostante alcuni tentativi di resistenza ebraica di scarso successo (principalmente a Vilnius da parte del FPO - Fareinike Partisaner Organizzazie), le formazioni tedesche e ausiliarie sterminarono brutalmente la popolazione entro il 1943. La "liquidazione" dei ghetti dell'est cominciava con lo scavo delle fosse da parte di lavoratori ebrei; la Ordnungpolizei, le SS e le polizie ausiliarie locali stendevano quindi un cordone intorno al ghetto e passavano all'azione generalmente all'alba o di notte alla luce di proiettori o razzi. Gli esecutori penetravano nel ghetto radunando gli ebrei, incendiando le case e annientando i resistenti con granate e armi leggere; ai punti di raccolto quindi gli ebrei venivano trasporti su autocarri accanto alle fosse comuni dove, dopo essersi spogliati, venivano fucilati cominciando da bambini e neonati.
Al momento del ritiro definitivo dei tedeschi (1944) nei vecchi confini del 1941, erano stati uccisi oltre 2 milioni di ebrei presenti nei territori sovietici occupati.

La soluzione finale della questione ebraica

Il 31 luglio 1941 Hermann Göring inviò una lettera di grande importanza a Reinhard Heydrich, incaricandolo di studiare e risolvere i problemi organizzativi e tecnici relativi alla prevista "soluzione totale" (Gesamtlösung) della questione ebraica nell'area di dominio nazista in Europa. Göring inoltre incaricava Heydrich di presentargli un piano globale riguardo alle misure da adottare concretamente per l'attuazione della desiderata "soluzione finale" (Endlösung) del problema ebraico. La missiva, in realtà, era stata scritta da Adolf Eichmann su richiesta dello stesso Heydrich e sottoposta all'approvazione di Göring per garantirsi il suo consenso e per affermare burocraticamente l'autorità suprema delle SS di Heinrich Himmler e Heydrich riguardo alle competenze sulla gestione del problema ebraico.
La disponibilità dei vasti territori orientali occupati rendeva teoricamente possibile progettare il trasferimento degli ebrei in queste regioni; i Gauleiter (in particolare Hans Frank) facevano costantemente pressione per essere liberati dai loro ebrei di cui richiedevano la deportazione all'est; venne anche preso in considerazione il trasferimento degli ebrei tedeschi ancora residenti in Germania (131.800 ebrei nel vecchio Reich, 43.700 in Austria) al fine di rendere il Reich "libero da ebrei" il prima possibile.
Nei mesi seguenti tuttavia Hitler sembrò ancora convinto della necessità di attendere la vittoria finale all'est prima di procedere con le deportazioni in massa; il tenente colonnello SS Adolf Eichmann, capo del Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l'emigrazione ebraica, dipartimento IVB4 del RSHA dipendente dall'ufficio IV - Gestapo - di Heinrich Müller) ai primi di agosto 1941, durante una conferenza di funzionari, affermò che il Führer aveva respinto la richiesta di Heydrich di cominciare subito la deportazione degli ebrei all'est durante la guerra in corso. Il 18 agosto, durante un colloquio con Joseph Goebbels, Hitler accolse la proposta di contrassegnare con il simbolo identificativo della Stella di Davide con la parola jude gli ebrei del Reich, ma confermò che il trasferimento all'est sarebbe stato attuato quando si sarebbero resi disponibili i mezzi di trasporto, dopo la fine della campagna all'est prevista per il mese di ottobre 1941.
Dopo aver appreso che Stalin stava deportando in Siberia i tedeschi del Volga, Hitler decise il 17 settembre 1941 di approvare la proposta di Heydrich di cominciare a deportare all'est gli ebrei tedeschi nonostante le enormi difficoltà logistiche create dalla situazione sul fronte orientale. Nella decisione di Hitler può aver influito anche il suo desiderio di esercitare pressioni sul presidente Roosevelt minacciando la rovina degli ebrei in caso di un suo intervento nella guerra. Heydrich inizialmente decise di trasferire a partire dal 15 ottobre nel ghetto di Łódź 20.000 ebrei delle città tedesche, da Vienna e dal Protettorato; molti sarebbero morti di fame e di freddo, altri sterminati da gennaio 1942 nel campo di Chełmno, dove dal 6 dicembre cominciarono le gassazioni, medianti speciali autocarri, degli ebrei locali. In autunno Himmler decise di organizzare anche i ghetti di Minsk, Kaunas e Riga per accogliere ebrei del Reich e del Protettorato di Boemia e Moravia. La deportazione di altri 22.000 ebrei tedeschi ebbe inizio l'8 novembre; per fare spazio ai nuovi arrivati dal Reich si procedette all'annientamento delle comunità ebraiche di Riga (30.000 persone), Minsk (20.000) e Kaunas (10.000).
Le procedure di deportazioni degli ebrei del Reich prevedevano la collaborazione delle strutture amministrative ebraiche che compilavano lunghi elenchi di persone destinate al "reinsediamento" che venivano utilizzate dalla Gestapo per organizzare i contingenti da trasportare; i dirigenti ebrei dovevano anche fornire personale ausiliario (Ausheberdienst o Jupo) che collaborava con gli agenti tedeschi nelle irruzioni a domicilio, compilando questionari, aiutando nei preparativi, sorvegliando i deportati nei luoghi di raccolta (Sammelstelle o Durchgangslager) e accompagnandoli ai treni (Transporthelfer). Sui convogli per l'est la sorveglianza, generalmente assegnata a poche decine di uomini con armi leggere per ogni carico di circa 1.000 ebrei, spettava agli Schupo della Ordnungspolizei.
L'andamento delle operazioni all'est fu molto diverso dalle previsioni dei dirigenti tedeschi e dopo il fallimento della battaglia di Mosca, la Wehrmacht fu costretta a combattere durante l'inverno russo un'aspra battaglia difensiva. Di conseguenza divenne irrealizzabile un progetto di deportazione di massa nell'estremo nord sovietico. Negli ultimi tre mesi del 1941 Hitler mostrò qualche incertezza sulle decisioni da prendere; secondo lo storico Saul Friedländer la decisione di procedere allo sterminio potrebbe essere stata presa in considerazione dal Führer nel mese di ottobre (come sembra di poter dedurre da alcuni documenti e dalle testimonianze di Eichmann e di Erhard Wetzel, il capo dell'Ufficio del Reich per la politica razziale all'est, Reichsministerium für die besetzten Ostgebiete) e resa definitiva e irreversibile a dicembre dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti e la controffensiva dell'Armata Rossa davanti a Mosca.
Sulle motivazioni di questa decisione, presa nel periodo di deterioramento della situazione militare complessiva della Germania, lo storico Enzo Collotti sottolinea che l'accelerazione della "soluzione finale", in apparenza controproducente ai fini dell'utilizzo di forza lavoro coatta per la macchina bellica del Reich, può essere ricondotta alle difficoltà pratiche di mantenimento di milioni di ebrei nei ghetti con conseguenti problemi sanitari, igienici e di sostentamento e, in modo preminente, a motivazioni ideologiche. La decisione quindi andrebbe ricondotta al fanatismo razziale di Hitler e dei principali dirigenti del Reich, alla necessità di fornire un ammonimento esemplare ad altre popolazioni occupate, e soprattutto alla volontà di esaltare lo spirito di resistenza del popolo tedesco ponendolo di fronte, con la concreta realtà dello sterminio, all'alternativa radicale del suo annientamento o di quello dei suoi nemici mortali. Anche lo storico John Lukacs interpreta la decisione di Hitler di procedere alla "soluzione finale", da questo autore retrodatata al settembre 1941, come un "atto propiziatorio", dimostrando, con l'annientamento del nemico razziale, la sua volontà "fanatica" di combattere fino in fondo, e come un "atto di vendetta" in anticipo nel caso, ritenuto probabile dal Führer già in questa fase della guerra, di una sconfitta della Germania. Inoltre lo storico tedesco Hans Mommsen considera il proseguimento del programma di sterminio anche negli ultimi anni di guerra come decisione del regime nazista di "risolvere", malgrado i continui rovesci sui fronti, almeno la "questione ebraica" e come convinzione di poter raggiungere l'invincibilità militare e politica del Reich mediante la totale omogeneità etnico-razziale raggiunta dopo l'annientamento degli ebrei.
Altri studiosi dell'Olocausto hanno datato in modo diverso il momento della decisione definitiva di procedere allo sterminio e quindi le motivazioni di Hitler: mentre Lucy Davidowitz e Daniel Goldhagen fanno discendere la concatenazione dei fatti direttamente dalle concezioni ideologico-razziali di Hitler espresse fin dal 1918-1920, Yehuda Bauer sostiene che la decisione fu adottata nel marzo 1941, in connessione con la chiara indicazione del Führer sul carattere di "guerra di annientamento" dell'imminente campagna all'est, e Richard Breitman stabilisce il momento al maggio 1941, collocandolo tra gli obietti principali dell'attacco all'URSS. Lo storico tedesco Peter Witte crede di aver individuato il momento della decisione ai giorni 16-17 settembre 1941, in un momento di euforia per il previsto trionfo della guerra orientale;Cristopher Browning parla di un Hitler ancora indeciso negli ultimi mesi dell'anno 1941 e propende per una data intorno al 10 ottobre 1941, quando il Führer ritenne di avere la vittoria in pugno. Infine Raul Hilberg riferisce che Adolf Eichmann apprese, verso la fine dell'estate 1941, direttamente da Heydrich (che a sua volta era stato informato da Himmler) che Hitler aveva "ordinato lo sterminio fisico degli ebrei" (der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet). Hilberg, sulla base delle dichiarazioni di Eichmann, che durante il suo processo a Gerusalemme dichiarò che l'ordine di Hitler sarebbe stato comunicato a Himmler "due o tre mesi dopo l'attacco all'URSS", e di quelle di Rudolf Höss che nelle sue memorie scrisse di essere stato convocato "d'estate" da Himmler per i primi progetti organizzativi dello sterminio, colloca la decisione di Hitler a "prima della fine dell'estate 1941".
Il 12 dicembre 1941 ebbe luogo un'importante riunione nell'appartamento privato del Führer alla presenza dei Gauleiter. Goebbels, l'unica fonte di questa riunione, riportò nel suo diario i contenuti del discorso di Hitler. Dopo una lunga esortazione alla spietatezza e alla resistenza nella "lotta per la sopravvivenza" del popolo tedesco, e un'ottimistica esposizione delle prospettive globali della guerra, il Führer avrebbe affermato esplicitamente che gli ebrei avrebbero dovuto essere spazzati via (reinen Tisch zu machen, "fare piazza pulita"); con riferimento alla sua lugubre "profezia" del 30 gennaio 1939 Hitler espresse la sua decisione di annientare gli ebrei. Di ritorno dalla riunione anche Hans Frank riferì queste notizie ai suoi subordinati parlando esplicitamente di eliminazione degli ebrei; riferì inoltre che Hitler aveva parlato di sterminio attivo degli ebrei non solo dell'est ma anche di quelli del Governatorato Generale (calcolati tra i 2,5 e i 3,5 milioni).
All'inizio del dibattito Heydrich espose il problema del trasporto degli ebrei di tutta Europa nell'area di influenza tedesca. Dopo varie discussioni venne presa la decisione di compiere una vera e propria pulizia etnica, uno sterminio totale della razza ebraica dall'Europa.
Nei piani di Heydrich e degli altri gerarchi nazisti, la "Soluzione finale" avrebbe coinvolto oltre 11 milioni di ebrei, ovvero la globalità della popolazione ebraica europea, compresa quella di paesi alleati come l'Italia o amici come la Spagna.
A questo punto restava da decidere il modo con cui questo sterminio andava effettuato: le fucilazioni di massa, infatti, eseguite fino ad allora da gruppi speciali delle SS (Einsatzgruppen), creavano molti problemi ai soldati tedeschi (soprattutto di natura psicologica, in quanto le vittime dovevano essere anche donne e bambini) per cui vennero scartate.
Negli atti della conferenza non si fa menzione all'uso di gas come metodo per l'eliminazione degli ebrei. Al contrario al termine della pagina 7 del protocollo si legge: « Adesso, nell'ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale.»
Questa affermazione potrebbe far pensare che il duro lavoro in condizioni estremamente disagiate sia stata l'arma privilegiata usata dai nazisti nel genocidio, in contrapposizione alla pratica della gassazione. D'altra parte Adolf Eichmann, nel corso del processo a suo carico tenuto a Gerusalemme nel 1961, smentì - pur sminuendo il suo ruolo - questa interpretazione. Le minute relative alla conferenza vennero redatte da Eichmann stesso utilizzando un adeguato linguaggio «ufficiale» e furono più volte inoltrate a Heydrich che provvide a emendarle ulteriormente. Alla domanda postagli dal presidente della corte Moshe Landau, riguardo a cosa si fosse realmente parlato nel corso della conferenza, Eichmann rispose: «Si parlò di uccisioni, di eliminazione e di sterminio. [...]». Certamente alla data della conferenza le procedure di sterminio attraverso la gassazione non erano ancora state completamente affinate, ma i primi esperimenti effettuati in Unione Sovietica mediante l'utilizzo di Gaswagen e le precedenti esperienze di camere a gas fisse utilizzate nel corso dell'Aktion T4 meglio si accordavano con la visione di Himmler che voleva evitare l'«imbarbarimento» (e lo «stress» causato dalle fucilazioni) degli uomini delle SS impiegati nelle operazioni di sterminio.
Durante la conferenza fu redatto in trenta copie il cosiddetto Protocollo di Wannsee, delle quali ci è pervenuta una sola minuta: quella che appartenne a Martin Luther, sottosegretario del Ministero degli Esteri.
Nel protocollo viene ribadita la "selezione naturale" degli ebrei, quindi l'inferiorità della loro razza e la necessità di procedere a una soluzione finale. (http://it.wikipedia.org/wiki/File:WannseeList.jpg)

Operazione Reinhardt

Nei mesi successivi alla conferenza di Wannsee si sviluppò in modo sistematico il programma di "soluzione finale" con la combinazione delle vecchie procedure di uccisioni incontrollate nei territori orientali con l'avvio a ritmo serrato della politica di deportazione da tutta Europa degli ebrei nei campi di Auschwitz e Majdanek, trasformati in lager contemporaneamente di lavoro e di sterminio, e con la costituzione di una rete di campi segreti nel territorio del Governatorato Generale per lo sterminio diretto e immediato degli ebrei polacchi. In realtà fin dall'autunno 1941 Himmler aveva già incaricato l'ufficiale SS Odilo Globocnik, responsabile a Lublino, di studiare e organizzare tecnicamente il concentramento e l'annientamento degli ebrei del Governatorato. Globocnik, ufficiale dal passato turbolento e dalle forti motivazioni nazionaliste e razziste, lavorò intensamente durante l'inverno sperimentando tecniche di sterminio e selezionando comandanti e personale per i nuovi campi che, secondo le disposizioni di Himmler, erano svincolati dall'autorità del generale SS Richard Glücks, il responsabile del Inspektion der Konzentrationlager trasformato il 3 marzo 1942 in sezione D del cosiddetto "Ufficio Centrale SS per la amministrazione economica" (SS Wirtschaftverwaltungs-Hauptamt, WVHA) diretto a sua volta dal generale SS Oswald Pohl, che controllava il sistema dei lager, compreso Auschwitz.
Il programma di Globocnik, sviluppato sotto la costante supervisione di Himmler che si incontrò con l'ufficiale SS il 14 marzo 1942, ebbe inizio il 17 marzo 1942 con l'arrivo dei primi treni carichi di ebrei del distretto di Lublino nel campo di sterminio di Bełżec; altri trasporti seguirono provenienti da Leopoli e Cracovia. Altri campi furono organizzati nel Governatorato a Sobibór in aprile e Treblinka (luglio 1942). Il responsabile dei tre campi di sterminio era l'ufficiale SS Christian Wirth (già coinvolto nel programma di eutanasia), mentre principale collaboratore di Globocnik per il piano di annientamento era il maggiore SS Hermann Höfle. Goebbels annotò per la prima volta nel suo diario alla fine di marzo 1942 gli aspetti fondamentali dei programma di sterminio degli ebrei del Governatorato; scrisse di "procedura alquanto barbarica che non andrebbe descritta in ulteriore dettaglio" e di circa il 60% di ebrei da "liquidare" con il 40% utilizzabile per il lavoro.
Il 30 aprile il generale SS Pohl, capo del WVHA, presentò a Himmler un importante documento in cui evidenziò l'importanza economica dei campi e dei deportati da utilizzare come forza di lavoro schiavistica in vista di un inevitabile prolungamento della guerra. I deportati dovevano essere sottoposti a un regime di lavoro "sfibrante" (erschöpfend); il ministro della Giustizia Thierack definì il nuovo sistema Vernichtung durch Arbeit ("sterminio per mezzo del lavoro"). In realtà queste nuove direttive che sembravano porre maggiore enfasi sullo sfruttamento economico dei deportati vennero presto superate da nuove decisioni al massimo livello a favore di un potenziamento delle procedure di annientamento degli ebrei.
A luglio la Wehrmacht concluse un accordo con il capo delle SS e della polizia del Governatorato, Friedrich-Wilhelm Krüger, per salvare dalla deportazione e dallo sterminio gli operai e i lavoratori ebrei impiegati nelle fabbriche di armamenti (Rüstungsbetriebe) ma l'intervento di Himmler, con una direttiva che assegnava direttamente alle SS la responsabilità della produzione di armamenti e di equipaggiamenti all'esercito mediante l'impiego di lavoratori ebrei concentrati in apposti grandi campi annessi alle fabbriche, fu decisivo. Himmler sottolineò inoltre che questa misura, che salvaguardava solo gli operai ebrei specializzati e indispensabili per la produzione, era temporanea e che "anche questi ebrei, in conformità con i desideri del Führer, un giorno o l'altro dovranno scomparire". Tutti gli ebrei lavoratori erano prigionieri sia che dipendessero dai campi da lavoro delle SS (Arbeiteslager) sia dai campi gestiti dalle grandi società industriali (Firmenlager). I campi da lavoro delle SS erano inoltre periodicamente decimati da nuovi procedimenti di selezione, deportazione, sterminio e ricambio dei lavoratori ebrei, in questo modo le imprese industriali delle SS, la Deutsche Ausrustungswerke - DKW -, e le Ostindustrie GmbH, - OSTI - si ritrovarono, entro i primi mesi del 1944, privati della manodopera ebrea deportata e annientata.
Secondo lo storico dell'Olocausto Saul Friedländer due avvenimenti possono avere influito sull'accelerazione e sull'ulteriore radicalizzazione del programma di "soluzione finale". Il 18 maggio 1942 il gruppo filocomunista, composto in maggioranza da ebrei tedeschi, "gruppo Herbert Baum" fece esplodere un ordigno incendiario nella sede di un'esposizione antisovietica a Berlino, suscitando grande inquietudine in Hitler e Goebbels; il 27 maggio 1942 un gruppo di agenti speciali cecoslovacchi addestrati dai britannici ferirono a morte Reinhard Heydrich, principale responsabile del progetto di distruzione degli ebrei. Il 3, 4 e 5 giugno ebbe luogo un incontro tra Hitler e Himmler in cui è possibile che siano stati discussi e decisi i piani di accelerazione massima del programma di sterminio. Himmler ne parlò il 9 giugno a una riunione di generali SS e il 19 luglio comunicò al generale SS Friedrich Wilhelm Krüger, diretto superiore di Globocnik, che il "reinsidiamento" dell'intera popolazione ebraica del Governatorato doveva essere completato entro il 31 dicembre 1942. Alla fine del mese di luglio Himmler in una lettera a un aiutante scrisse esplicitamente che "i territori orientali occupati saranno liberi da ebrei" e che "questo compito molto difficile" gli era stato assegnato direttamente dal Führer.
Alla metà di giugno 1942 erano già stati uccisi 280.000 ebrei nei campi di sterminio della cosiddetta operazione Reinhard (Aktion Reinhardt), principalmente a Bełżec, Chelmno e Sobibór; a partire da luglio le deportazioni e lo sterminio vennero ancora incrementati, secondo le indicazioni di Himmler, con il potenziamento di Bełżec e l'entrata in funzione anche del campo di Treblinka. Alla fine del 1942 rimanevano in vita nel Governatorato solo 297.000 ebrei su una popolazione iniziale di oltre 2 milioni, e altri 15.000 nel Protettorato di Boemia e Moravia.
L'11 gennaio 1943 Hermann Höfle presentò un rapporto riassuntivo, indirizzato al vice-comandante della polizia di sicurezza del Governatorato (il colonnello SS Franz Heim), dei risultati raggiunti dall'operazione Reinhard: l'ufficiale SS elencò il numero dei cosiddetti "arrivi registrati al 31 gennaio 1942"; in realtà si trattava di un consuntivo degli ebrei uccisi con statistiche separate per i vari campi. Secondo questo documento in quattro campi di sterminio (Bełżec, Treblinka, Sobibór e Majdanek) erano stati uccisi non meno di 1,2 milioni di ebrei attraverso l'utilizzo di camere a gas fisse e mobili che sfruttavano il monossido di carbonio. La maggior parte degli ebrei polacchi era stato ucciso a Bełżec (434.508) e a Treblinka (713.555) che era entrato in funzione il 23 luglio 1942 e dove vennero sterminati, prima sotto la direzione di Irmfried Eberl e poi quella di Franz Stangl, la maggior parte degli ebrei di Varsavia.
Nella prima metà del 1943 l'operazione Reinhard continuò con la deportazione a Treblinka degli ultimi ebrei del Governatorato presenti nei ghetti di Varsavia e Białystok; a novembre 1943, nel corso della cosiddetta Operazione Erntefest (Aktion Erntefest, ovvero l'operazione "Festa della mietitura"), vennero inoltre fucilati in massa, sotto la direzione del capo delle SS e polizia del distretto Jakob Sporrenberg, oltre 40.000 ebrei dei campi di lavoro dell'area di Lublino[117]. Ad agosto e a ottobre 1943 avevano avuto luogo una serie di rivolte e di tentativi di fuga dai campi di sterminio da parte dei pochi superstiti ormai coscienti del loro destino e a questo punto Himmler, essendo rimaste solo poche concentrazioni ebraiche in Polonia a Łódź e nel campo di lavoro di Auschwitz, decise di chiudere l'operazione Reinhard. I campi di sterminio furono rasi al suolo e si cercò di occultare tutte le prove degli eccidi con l'intervento di piccoli reparti scelti di SS nel quadro della Sonderaktion 1005.

La macchina dello sterminio

Contemporaneamente all'avvio dell'operazione Reinhard aveva avuto inizio l'ampliamento del campo di concentramento di Auschwitz, situato in una zona di facile accessibilità ferroviaria. La località di Auschwitz era stata proposta a Himmler dal generale SS Richard Glücks il 21 febbraio 1940; si trattava di una cittadina isolata tra le paludi sede in passato di un'unità di cavalleria austriaca. Il 14 giugno 1940 il campo aveva ricevuto i primi prigionieri politici polacchi e nello stesso momento vi era stato stabilito un impianto di carburanti e gomma sintetica della I.G. Farben. Nella primavera 1940 arrivarono ad Auschwitz gli ufficiali SS Josef Kramer e Rudolf Höss che avrebbero assunto un ruolo centrale nel processo di ampliamento e di trasformazione di Auschwitz nel principale campo di lavoro e sterminio della soluzione finale.
Sotto la direzione tecnica di Hans Kammler, capo costruzioni dell'organizzazione del generale SS Pohl, si procedette a un costante ampliamento degli impianti; il numero di internati passò da 30.000 a 80.000, vennero allestiti campi satelliti, tra cui un campo femminile, un campo per famiglie di zingari e un campo per famiglie per ebrei provenienti da Theresienstadt, nella vicina Monowitz venne potenziato lo stabilimento della I.G.Farben servito dai deportati abili al lavoro.Dopo che le prime gassazioni avevano avuto luogo nell'obitorio ristrutturato di Auschwitz I, due camere a gas provvisorie furono installate nel nuovo campo di Auschwitz-Birkenau (Bunker I e II). Vennero quindi allestiti i forni crematori I-V a Birkenau e soprattutto, dopo la chiusura della camera a gas di Auschwitz I, vennero messe in funzione nel corso del 1943 le camere a gas I-IV a Birkenau dove vennero uccisi centinaia di migliaia di ebrei europei nel giro di poche settimane.
Ad Auschwitz per lo sterminio sistematico vennero studiate nuove «soluzioni» che consentissero di eliminare il maggior numero di soggetti nel modo più rapido ed efficiente. Dopo una serie di prove condotte su prigionieri di guerra sovietici e detenuti politici polacchi nell'agosto 1941, il 3 settembre 1941 venne impiegato per le gassazioni per la prima volta su larga scala, su 650 prigionieri sovietici e 250 internati infermi, il Zyklon B (acido cianidrico). La sostanza veniva immesso attraverso aperture nel soffitto delle camere, nascoste tra le finte docce: le vittime morivano per asfissia nell'arco di 10-15 minuti.
L'11 giugno 1942 nel corso di una riunione convocata da Adolf Eichmann nella sede di Berlino del RSHA vennero stabiliti i piani dettagliati per le deportazioni nei campi di sterminio all'est degli ebrei da Francia, Olanda e Belgio. Alla presenza dei responsabili delle sezioni ebraiche dell'SD di Parigi, Bruxelles e L'Aia, Eichmann illustrò le richieste di Himmler: il Reichsführer richiedeva la deportazione di uomini e donne di età compresa tra sedici e quarant'anni da impiegare come lavoratori schiavi nei lager al posto della popolazione ebraica polacca non più idonea al lavoro da inviare subito allo sterminio. I piani prevedevano la deportazione di 15.000 ebrei dall'Olanda, 10.000 dal Belgio e 100.000 dalla Francia. Difficoltà organizzative permisero la deportazione di soli 40.000 ebrei francesi nel periodo estivo del 1942 e di conseguenza venne incrementato il quantitativo dall'Olanda che salì da 15.000 a 40.000 ebrei.
Elemento fondamentale del programma di deportazione verso i campi della morte era il meccanismo del trasporto ferroviario affidato alla Reichsbahn, la grande ed efficiente struttura delle ferrovie tedesche diretta da Albert Ganzenmüller; gli ebrei, anche se venivano caricati su carri-bestiame, erano considerati, anche ai fini del pagamento delle fatture da parte del RSHA alla Reichsbahn, viaggiatori trasportati su "treni viaggiatori speciali" (Sonderzüge), e la richiesta dei mezzi per la deportazione partiva dall'ufficio di Eichmann IVB4 a cura del capo della sezione Trasporti, Novak. La richiesta veniva inviata alle sezioni 21 (treni viaggiatori) e 211 (treni speciali) della Divisione operativa della Reichsbahn. Otto Stange, responsabile della sezione 211, controllava il trasporto e inviava le direttive al Generalbetriebsleitung Ost (la direzione generale ferroviaria dell'est, diretta da Ernst Emrich) che aveva a disposizione un Sonderzuggruppe che, diretto dai funzionari Fahnrich, Klemme e Jacobi, organizzava l'assegnazione dei vagoni, gli orari, gli ordini di percorso e le date di partenza e arrivo. Questo piano di base veniva poi comunicato alle Reichsbahndirektion territoriali in cui il cosiddetto "ufficio 33" si occupava delle decisioni di dettaglio dei treni viaggiatori.
I Sonderzüge viaggiavano secondo l'orario dei treni formati su richiesta (Bedarfsfahrplan) ma in casi particolari o di sovraccarico delle linee adottavano un Sonderfahrplan ("orario speciale"). Nell'Europa nazista la Reichsbahn controllava direttamente, con direzioni distaccate, le linee ferroviarie nel Governatorato, nei territori occupati dell'est, in Francia, Belgio, Olanda e Danimarca, mentre esistevano plenipotenziari della Reichsbahn nelle reti ferroviarie autonome dei paesi satelliti (Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia) e del Protettorato. Invece in Norvegia, Croazia, Serbia, Grecia e in Italia, dopo il settembre 1943, i trasporti ferroviari dipendevano dalle direzioni dei trasporti militari della Wehrmacht. Importantissima era la funzione della Generaldirektion der Ostbahn (Gedob), diretta da Adolf Gerteis, che controllava, gerarchicamente dipendente dalla Generalbetriebsleitung Ost, la rete ferroviaria del Governatorato; era la Gedob (ufficio 33/treni speciali, diretto da Walter Stier) che organizzava i trasporti verso i campi di sterminio dell'Aktion Reinahrdt; la Reichsbahndirektion Oppeln dell'Alta Slesia era invece responsabile di tutti i treni per Auschwitz.
Le deportazioni sistematiche ad Auschwitz degli ebrei europei ebbero inizio nel luglio 1942; sulla banchina ferroviaria di Birkenau, in un'atmosfera di smarrimento, violenza e disperazione, le squadre SS procedevano alla selezione degli internati, circa il 25% delle persone di ogni convoglio (quelli ritenuti fisicamente "adatti al lavoro") veniva temporaneamente trasferito, in media per un periodo di circa tre mesi, nei campi di lavoro del lager per essere sfruttati come manodopera schiava in condizioni di vita estreme. Gli altri venivano immediatamente uccisi nelle camere a gas. I sopravvissuti venivano periodicamente selezionati e poi inviati nelle camere di sterminio mentre alcuni venivano utilizzati dai medici e biologi presenti ad Auschwitz (tra cui i dottori Josef Mengele, Schumann, Weber, Munch, Wirths, Clausberg e Delmotte) per un'ampia varietà di esperimenti medici[130]. Sonderkommandos (squadre speciali) dirette dalle SS e costituite da ebrei ai quali veniva imposto il compito, si occupava del funzionamento delle camere a gas e dei crematori: taglio dei capelli, estrazione dei cadaveri, recupero dei beni delle vittime, incenerimento dei corpi[130].
Entro il 1942 vennero deportati e quindi sterminati ad Auschwitz oltre 175.000 ebrei, provenienti principalmente dalla Slovacchia (56.691), dalla Francia (41.911) e dai Paesi Bassi (38.571); fin dal 17 luglio Himmler aveva detto al comandante del lager Rudolf Höss che il campo sarebbe stato la destinazione di tutti gli ebrei d'Europa e lo aveva esortato a potenziare gli impianti e intensificare "inflessibilmente" l'attività[131]. Himmler e Hitler vennero costantemente informati sui progressi del sistema di annientamento degli ebrei d'Europa: il 29 dicembre 1942 Himmler presentò un rapporto al Führer con il consuntivo delle uccisioni di ebrei in Ucraina e Russia meridionale; mentre il 23 marzo 1943 il responsabile statistico delle SS Richard Korherr consegnò a Himmler un documento dettagliato con il calcolo aggiornato delle persone sterminate al 31 dicembre 1942 (1.873.539) che venne evidentemente mostrato a Hitler visto che Himmler lo restituì all'ufficio di Eichmann con la postilla: "Il Führer ha preso nota. Distruggete. H.H.".
Il 4 e il 6 ottobre 1943, nel corso di due discorsi tenuti a Posen ai generali SS e ai Gauleiter, Heinrich Himmler parlò in modo esplicito dello "sterminio del popolo ebraico", usando toni pacati e confidenziali, offrendo incoraggiamenti e giustificazioni per il "compito che è diventato il più difficile della mia vita". Il Reichsführer motivò la decisione di uccidere anche donne e bambini parlando di "soluzione chiara" e di "non avere il diritto di uccidere gli uomini e lasciare che i loro figli crescano per poi vendicarsi"; espresse apertamente che si era dovuta prendere la "difficile decisione" di far scomparire dalla terra il popolo ebraico. Con i generali il 4 ottobre presentò lo sterminio come un impegno duro, difficile ma "glorioso" e fondamentale per la sopravvivenza del popolo tedesco, "una pagina di gloria della nostra storia che non è mai stata scritta e mai lo sarà", infine sottolineò la "moralità" degli uomini impegnati nella missione con la frase: "aver superato tutto questo ed essere rimasti persone per bene (a parte le eccezioni dovute alla debolezza umana), questo è ciò che ci ha reso forti". Con queste parole Himmler voleva esaltare l'importanza storica della "missione", da condurre fino alla fine e, non essendo il popolo tedesco ancora maturo per questa, da mantenere segreta.
Dopo la quasi completa distruzione delle comunità ebraiche polacca e dei territori orientali e l'inizio delle deportazioni dall'Europa occidentale, a partire dalla metà del 1942 Adolf Eichmann, responsabile dell'Ufficio centrale dell'emigrazione ebraica, si impegnò costantemente per ottenere la consegna degli ebrei presenti nell'Europa sud-orientale. Impegnato in colloqui con i dirigenti locali e supportato dai rappresentanti del ministero degli Esteri e dallo stesso Hitler durante i suoi incontri con i capi di stato stranieri, Eichmann si concentrò soprattutto sulle numerose comunità ebraiche presenti in Romania, Ungheria e Bulgaria. Inizialmente sembrò che Eichmann fosse riuscito a convincere i dirigenti rumeni a consegnare i circa 300.000 ebrei che vivevano nel paese, ma poi l'11 ottobre 1942 il dittatore rumeno Ion Antonescu, sottoposto a pressioni dal nunzio papale, da personalità ebraiche, dal ministro svizzero, rifiutò di collaborare e ordinò il rinvio delle deportazioni. Anche in Bulgaria le autorità locali fecero opposizione e vennero consegnati solo 11.000 ebrei, provenienti dai territori recentemente annessi, che vennero uccisi a Treblinka.
La popolazione ebraica ungherese era molto numerosa (800.000 persone) e nel 1942 i diplomatici tedeschi fecero pressione a favore dell'introduzione di leggi antiebraiche e della deportazione all'est. Nonostante alcuni progetti antiebraici dei militari ungheresi, l'ammiraglio Miklós Horthy e il capo del governo Miklós Kállay si opposero a queste iniziative e anche un intervento diretto di Hitler durante un incontro con Horthy nell'aprile 1943 non ottenne risultati decisivi. Il 19 marzo 1944 la Wehrmacht occupò l'Ungheria e la dirigenza nazista poté quindi imporre un radicale cambiamento della politica ebraica ungherese; Eichmann arrivò subito a Budapest dove diede inizio al rastrellamento degli ebrei; il 14 maggio 1944 ebbero inizio deportazioni ad Auschwitz. Le notizie dei trasporti all'est si diffusero a livello internazionale e la dirigenza ungherese fu sottoposta a pressioni da parte americana, svedese e vaticana per fermare le deportazioni; l'8 luglio Horthy decise la sospensione, risparmiando quindi i 250.000 ebrei di Budapest, ma altri 438.000 ebrei ungheresi erano già stati trasferiti dall'organizzazione di Eichmann ad Auschwitz dove circa 394.000 vennero subiti sterminati.
Tra maggio e giugno 1944 con l'annientamento degli ebrei ungheresi il campo di Auschwitz, diretto prima da Arthur Liebehenschel e poi da Richard Baer con la supervisione di Rudolf Höss, raggiunse l'apogeo della sua attività di sterminio, le vittime mensili quadruplicarono e la capacità dei nuovi inceneritori venne portata a 132.000 cadaveri al mese. Nel campo di sterminio di Auschwitz vennero deportati come minimo 1.100.000 ebrei, provenienti da Ungheria (438.000), Polonia (300.000), Francia (69.000), Paesi Bassi (60.000), Grecia (55.000), Boemia e Moravia (46.000), Germania e Austria (23.000), Slovacchia (27.000), Belgio (25.000), Jugoslavia (10.000), Italia (7.500), Norvegia (690), zone non precisate (34.000); circa 900.000 morirono nelle camere a gas e altri 95.000 per le condizioni di vita tra i deportati registrati come lavoratori. Altri 400.207 persone vennero inoltre deportate nel campo come internati-lavoratori registrati. Considerando altri internati passati per Auschwitz e poi tradotti in altri campi (oltre 210.000) e gli 8.000 sopravvissuti, si raggiunge una cifra complessiva di vittime del campo di sterminio di 1.417.595 su un totale di internati di 1.613.455, tra cui 220.000 adolescenti e bambini.

Liberazione dei campi e "marce della morte"

L'interruzione delle deportazioni dall'Ungheria e il catastrofico peggioramento della situazione bellica tedesca sui fronti di guerra provocarono un ultimo cambiamento dei piani tedeschi riguardo al problema ebraico: si decise quindi di abbandonare i campi dell'est esposti all'avanzata dell'Armata Rossa e il trasferimento forzato dei detenuti superstiti di nuovo in Germania; i prigionieri malati o non in grado di affrontare il viaggio in carri bestiame o a piedi sarebbero stati uccisi.
Fin dal 1943 Himmler aveva incaricato il colonnello SS Paul Blobel di procedere alla sistematica riesumazione dei cadaveri dei deportati per poi bruciare i resti umani; inoltre si procedette alla Sonderaktion 1005 per occultare i segni del genocidio e distruggere i campi di sterminio. Blobel effettuò le esumazioni e gli incenerimenti in Russia, Bielorussia, Ucraina e nei Paesi Baltici poco prima dell'arrivo delle truppe sovietiche; i campi dell'operazione Reinhard vennero rasi al suolo in tempo mentre non si riuscì a impedire che il campo di Majdanek (Lublino) cadesse il 23 luglio 1944 ancora intatto in mano dei soldati russi della 2ª Armata corazzata del generale Semën Bogdanov (1º Fronte bielorusso del maresciallo Konstantin Rokossovskij) che quindi poterono trovare le spaventose tracce delle uccisioni. Alla fine del 1944 Himmler ordinò di accelerare la distruzione di Auschwitz ma il programma era ancora in corso quando le truppe dell'Armata Rossa (reparti della 60ª Armata del 1º Fronte ucraino del maresciallo Ivan Konev) liberarono il campo il 27 gennaio 1945, trovando ancora prigionieri malati, edifici, documenti ed enormi quantità di effetti personali delle vittime. Dai documenti dell'Armata Rossa risulta che vennero liberati 2.819 prigionieri e furono trovati 348.820 abiti maschili e 836.255 cappotti e abiti femminili.
Nelle ultime settimane della guerra i prigionieri superstiti vennero trasferiti a ovest in campi di detenzione in Germania per evitare che venissero liberati; mentre i deboli e i malati vennero uccisi sommariamente prima dell'evacuazione dei campi, quelli in grado di sopportate il viaggio vennero trasportati in treno a bordo di carri bestiame o costretti a estenuanti "marce della morte" attraverso cittadine di campagna fino a nuovi campi sovraffollati dove furono falcidiati dalla fame e dalle malattie. 80.000-100.000 ebrei morirono in quest'ultima fase della guerra, mentre circa 100.000 furono liberati dalle truppe alleate al momento della fine del Terzo Reich. Nella primavera 1945 Himmler aveva intrapreso discreti contatti con personalità di nazioni neutrali per cercare di aprire un dialogo e negoziare la fine della guerra; il 20 aprile 1945 ebbe anche un colloquio con Norbert Masur, un importante ebreo esule tedesco, durante il quale affermò la sua preferenza per le politiche di espulsione che erano però fallite a causa del rifiuto del mondo di accettare gli ebrei, e giustificò il genocidio come misura preventiva contro le masse di ebrei proletari, partigiani e malati. Il Reichsführer definì anche i crematori "misure sanitarie" e i lager "campi di educazione". Mentre Himmler intratteneva il suo ospite e consentiva al rilascio di mille donne ebree; i detenuti continuavano a morire negli ultimi campi ancora attivi: in aprile a Ravensbrück, prima della liberazione da parte dei sovietici, furono gassati 2000 ebrei tra cui donne incinte e neonati; a Buchenwald. durante l'ultima marcia della morte verso Dachau, persero la vita tra i 13.000 e i 15.000 ebrei.

La sorte degli ebrei italiani

L'occupazione tedesca dell'Italia ebbe conseguenze decisive anche per la sorte dei circa 44.000 ebrei presenti; Adolf Eichmann e Heinrich Müller previdero di potere estendere rapidamente le misure di deportazione all'est anche a questa comunità ebraica. Nonostante alcune momentanee difficoltà frapposte dal consigliere d'ambasciata Moellhausen, dal generale Stahel e dal feldmaresciallo Albert Kesselring, il 16 ottobre 1943 il colonnello delle SS Herbert Kappler e il capitano delle SS Dannecker (dell'ufficio di Eichmann) eseguirono il rastrellamento del ghetto di Roma e arrestarono 1259 persone. La situazione ebbe una svolta nel mese di novembre 1943 quando il governo fascista repubblicano decise di aderire alla campagna antiebraica: il 30 novembre il ministro Guido Buffarini-Guidi ordinò l'internamento in campi di concentramento predisposti di tutti gli ebrei in Italia; la misura, diretta dalle prefetture con la partecipazione di reparti speciali fascisti tra cui la Muti, gli Uffici politici investigativi e il gruppo Koch, rappresentò la premessa organizzativa per la successiva deportazione all'est.
L'internamento procedette nei mesi seguenti e subito gli organi di polizia tedeschi, guidati dal tenente colonnello delle SS Bosshammer, richiesero la consegna degli ebrei per la deportazione. Nel corso della primavera 1944 gli organi di polizia e delle SS tedesche presero possesso dei campi di raccolta, tra cui il 15 marzo 1944 il campo centrale di Fossoli; circa 8000 ebrei italiani vennero trasportati ad Auschwitz e Bergen-Belsen dove morirono tutti tranne 820 sopravvissuti. Inoltre dopo la costituzione Operationszone Adriatisches Küstenland, Odilo Globocnik era diventato comandante delle SS e della Polizia nella zona d'operazioni adriatica e aveva attivato, in collaborazione anche con Christian Wirth (che venne ucciso da partigiani jugoslavi nel 1944), un campo di sterminio alla Risiera di San Sabba dove vennero uccisi alcune migliaia di persone tra partigiani, oppositori politici ed ebrei.

Le vittime

I calcoli delle vittime durante il genocidio degli ebrei d'Europa sono ancora oggi oggetto di dibattito nelle fonti; Adolf Eichmann, principale organizzatore della deportazione per lo sterminio, avrebbe indicato, secondo due deposizioni di membri delle SS al processo di Norimberga, una cifra oscillante tra i cinque e i sei milioni di ebrei uccisi; durante il processo si stabilì in via ufficiale il numero di 5.700.000 morti, numero che concorda con i dati del Consiglio Mondiale Ebraico. Lo storico Gerard Reitlinger ha calcolato invece una cifra tra i 4.194.200 e i 4.581.200[150]. Raul Hilberg presenta la cifra di 5,1 milioni di vittime, di cui fino a 1 milione ad Auschwitz[151]; Saul Friedländer scrive di 5-6 milioni di vittime ebree, di cui quasi 1,5 milioni avevano meno di quattordici anni.
La fase del vero e proprio sterminio ebbe inizio nel 1941, quando vennero uccisi 1,1 milioni di ebrei prevalentemente all'est dagli Einsatzkommandos (una cifra dieci volte più alta di quella del 1940), mentre l'anno con il maggior numero di morti fu il 1942, il periodo dell'operazione Reinhard, con 2,7 milioni di ebrei uccisi. Il numero delle vittime discese invece nel 1943, con 500.000 morti, e nel 1944, con 600.000 ebrei sterminati, principalmente ad Auschwitz.
Le condizioni di abbrutimento e annichilimento della persona nei campi del genocidio sono state illustrate con grande efficacia da numerosi scrittori e diaristi; tra le opere più significative è Se questo è un uomo, capolavoro dello scrittore italiano Primo Levi, deportato ad Auschwitz e miracolosamente sopravvissuto alla prigionia nel campo di sterminio fino alla liberazione a opera dei soldati sovietici.
Lo storico Raul Hilberg ha descritto accuratamente il tipo di reazioni degli ebrei d'Europa di fronte alle misure di discriminazione, persecuzione, deportazione e annientamento perpetrate dal regime nazista; gli ebrei ripeterono il tipo di comportamento che storicamente avevano sempre adottato di fronte alle persecuzioni. Mentre furono quasi totalmente assenti reazioni di resistenza armata, di opposizione violenta e vendetta nei confronti dei persecutori e carnefici, le comunità ebraiche cercarono di attenuare le sofferenze con la sottomissione anticipata, con la collaborazione; tentando di corrompere, organizzando i soccorsi e il salvataggio di persone e beni. Altre reazioni successive furono, in minor misura, la fuga e l'emigrazione, e soprattutto una condizione di paralisi di fronte all'incredibile violenza del nemico e infine la sottomissione. Importante fu anche, nel comportamento delle comunità ebraiche, la convinzione dell'importanza del loro ruolo nella vita sociale ed economica, e quindi la convinzione dell'impossibilità pratica e della scarsa convenienza economica del meccanismo burocratico dello sterminio. Secondo Hilberg, adottando i consueti comportamenti di sopravvivenza basati su "attenuazione" e "sottomissione", le comunità ebraiche d'Europa si trovarono impotenti e paralizzati di fronte alla macchina dell'annientamento e in pratica accelerarono la propria distruzione.

I Giusti tra le nazioni

Nella pagina tetra dell'Olocausto, brillano le storie di quei non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita di chi era ingiustamente perseguitato. Oggi sono conosciuti come Giusti tra le nazioni.
Nel 1962, una commissione guidata dalla Suprema corte israeliana ha ricevuto l'incarico di conferire il titolo onorifico di Giusto tra le nazioni. La Commissione - di 35 membri - è formata da personalità pubbliche volontarie, professionisti e storici, molti dei quali sono essi stessi dei sopravvissuti. La Commissione è presieduta da un ex giudice della Corte Suprema: Moshe Landau (dal 1962 al 1970), Moshe Bejski (dal 1970 al 1995), Jakov Maltz (dal 1995).
Per svolgere il proprio compito la Commissione segue criteri meticolosi ricercando documentazione e testimonianze che possano avvalorare il coraggio ed il rischio affrontato per salvare gli ebrei dalla Shoah.
A tutt'oggi, sono stati riconosciuti oltre 24.000 Giusti tra le nazioni, di cui circa 500 italiani. Come esempi, si possono citare: don Giulio Facibeni, Giovanni Palatucci, Giorgio Perlasca, Guelfo Zamboni.








La scoperta

Dopo il loro arrivo le forze alleate obbligarono i civili che vivevano nei dintorni dei lager a visitarli e prendere coscienza di quegli orrori
La consapevolezza dell'enormità delle uccisione e delle condizioni disumane in cui vennero detenuti i deportati venne alla luce con l'ingresso nei campi, abbandonati dai nazisti in fuga, delle truppe russe e alleate sul finire della guerra.
Una descrizione radiofonica del lager di Buchenwald venne fatta dal giornalista Edward R. Murrow entrato nel campo assieme alle truppe americane il 12 aprile 1945, che concluse il suo reportage con queste parole:
« Vi prego di credere a ciò che ho detto a proposito di Buchenwald. Ho riferito quello che ho visto e sentito, ma solo una parte di cio'. Per la maggior parte di esso io non ho parole .... Se vi ho sconvolto con questa cronaca piuttosto edulcorata di Buchenwald, non me ne scuso. »
(Estratto dal servizio di Murrow Buchenwald report. 15 aprile 1945.)
Il numero del 7 maggio 1945 della rivista Life pubblica un servizio di sei pagine intitolato "Atrocities - Capture of the German concentration camps pile up evidences of barbarism that reaches the low point of human degradation", con sei pagine di fotografie, scattate da quattro fotografi nei campi di Belsen, Buchenwald, Gardelegen e Nordhausen. A commento del valore di testimonianza delle immagini, nel testo è scritto:
« Per 12 anni, da quando i Nazisti presero il potere, gli Americani hanno sentito di accuse di brutalità tedesca. Rese scettiche dalla "propaganda di atrocità" della prima guerra mondiale, molte persone rifiutarono di prestare davvero fede ai racconti degli inumani trattamenti nazisti verso i prigionieri. Dalla scorsa settimana gli Americani non possono più dubitare delle storie della crudeltà nazista. Per la prima volta c'è evidenza irrefutabile, dal momento che le armate alleate, avanzando, hanno liberato campi riempiti di prigionieri politici e schiavi lavoratori, vivi e morti. »
(Life, 7 maggio 1945.)
Poco dopo la sua liberazione dal campo di sterminio di Wöbbelin il francese David Rousset pubblicò la sua testimonianza inizialmente in una serie di articoli nella rivista "Revue internationale" pubblicata da Maurice Nadeau[181], che vennero quindi riuniti nel libro L'Univers concentrationnaire, questo testo, pubblicato nel 1946, viene considerato come una delle prime testimonianze dirette da parte di un sopravvissuto delle condizioni di vita e di morte nei lager e ricevette lo stesso anno il Premio Renaudot.

Etica e memoria

Il significato della Shoah rinvia indissolubilmente al senso del ricordo per il presente, e alla ribellione al disumano quale espressione testimoniale di coesistenza contro la riduzione a "cosa" perpetrata nei confronti del nostro vivere, in cui è da riconoscere una nuova e possibile aggressione dell'essenza criminale rivelata dal nazionalsocialismo. Su questo argomento, è significativa la riflessione di autori quali Theodor Adorno, Jean Amery, Hannah Arendt, Zygmunt Bauman, Dietrich Bonhoeffer, Paul Celan, Emmanuel Levinas, Primo Levi, Friedrich Kellner, Elie Wiesel.
Nota vittima dell'Olocausto fu anche Anne Frank, una ragazzina ebrea tedesca rifugiatasi in Olanda con la famiglia, che morì nel 1945; ha scritto un diario pubblicato in seguito alla sua morte dal padre, che ha rappresentato una delle più note testimonianze, a livello internazionale, delle persecuzioni naziste.
Emblematica fu anche la figura della filosofa ebrea tedesca Edith Stein, scomparsa ad Auschwitz il 9 agosto 1942. Edith Stein, convertitasi al cattolicesimo e santificata negli anni finali del pontificato di papa Giovanni Paolo II, incarna infatti la figura dell'ebrea convertitasi al cattolicesimo che la follia nazista non esita a opprimere con tutta la sua cieca violenza. La radicalità dei suoi costumi religiosi (era diventata monaca di clausura tra le carmelitane) e la fierezza delle sue posizioni porteranno il Reich hitleriano a perseguitarla e a confinarla ad Auschwitz, dove della sua presenza non rimarrà più traccia.
Diverse associazioni ricordano ancora oggi ai giovani le disastrose conseguenze di quanto accaduto in quel periodo, anche con premi come l'Austrian Holocaust Memorial Award.