sabato 13 settembre 2014

Grande Italia

Grande Italia o Italia imperiale fu un progetto con il quale il fascismo italiano aspirava a creare un impero italiano nell'area del bacino del Mediterraneo.

Il progetto della Grande Italia venne anticipato già nelle linee programmatiche dell'adunata di piazza San Sepolcro (con il programma omonimo del 24 marzo 1919) e nel Manifesto dei Fasci italiani di combattimento del 6 giugno 1919.
Esso consisteva in una Grande Italia che doveva includere: Nizza, Savoia, Ticino, Venezia Giulia, Dalmazia, Corfù, Malta e Corsica, popolate in parte anche da comunità italofone, e ampie zone dell'Africa settentrionale e orientale: Libia, Egitto, Sudan e Corno d'Africa, alcune delle quali abitate da italiani dal XIX secolo.
L'espansione in questi territori avrebbe permesso all'Italia di riprendere il dominio del Mediterraneo (che veniva considerato dai fascisti come Mare nostrum) perso con la caduta dell'Impero romano d'Occidente.
Il progetto acquisì nuovi tasselli durante la seconda guerra mondiale, con l'occupazione di Grecia, Corsica, Tunisia e l'invasione dell'Egitto; tuttavia tale progetto dovette essere totalmente abbandonato con la sconfitta delle Potenze dell'Asse.
In preparazione della guerra contro la Francia nel 1940, il regime fascista era intenzionato ad ottenere la Corsica, Nizza, la Savoia e le colonie francesi della Tunisia e del Gibuti.Il ministro degli esteri Conte Galeazzo Ciano il 10 giugno 1940 sostenne la spartizione della Svizzera tra Germania e Italia, con l'Italia che avrebbe annesso i cantoni Ticino, Grigioni e Vallese.

Il primo passo: Dodecaneso

Il primo passo per la formazione della Grande Italia fu fatto da Cesare Maria De Vecchi.
Nel 1936, dopo la nomina a governatore del Dodecaneso dette il via ad un processo di Italianizzazione delle isole greche, imponendo l'uso della lingua italiana e realizzando stanziamenti per un totale di 7.015 italiani a Rodi e nelle isole circostanti.
Nel 1940, con l'inizio della Campagna italiana di Grecia, De Vecchi propose l'annessione al Regno d'Italia del Dodecaneso e delle Isole Ionie nonché delle isole di Chio e Samo, che in passato era appartenuta alla Repubblica di Genova.

Il secondo passo: la Quarta Sponda

Un altro leader fascista, Italo Balbo, promosse invece attivamente l'incremento della comunità italiana sulle coste della Libia, colonia italiana sin dal 1912. Balbo chiamò Tripolitania e Cirenaica la Quarta Sponda dell'Italia, in riferimento alle altre tre sponde (tirrenica, adriatica e ionica) della penisola italiana.
Il 28 ottobre 1938 Balbo dette il via alla spedizione dei primi 20.000 coloni italiani, i cosiddetti "Ventimilli" provenienti principalmente da Napoli e da Genova, in Libia.
Il 28 ottobre 1939 venne dato il via ad una seconda spedizione, che riguardò altri 10.000 italiani.
Nel 1940, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, grazie a Italo Balbo i dati della colonizzazione italiana della Libia apparivano assai promettenti:


  • in Tripolitania italiana il terreno agricolo ammontava a 231.089 ettari divisi in 3.675 poderi, abitati da 3.960 famiglie (23.919 persone);
  • in Cirenaica italiana gli ettari erano 79.831, le famiglie 2.206, gli italiani 15.014.

A questi occorreva aggiungere altri 70.000 italiani sparsi nelle città della costa e, per completare il quadro, 424 chilometri di strade asfaltate, 2.740 chilometri di strade in terra battuta e 1.882 chilometri di litoranea dal confine tunisino a quello egiziano.
La comunità italiana di Libia raggiunse così il suo apice con 112.600 persone, ovvero il 13,26% della popolazione dell'intero territorio libico.
L'obiettivo finale era ancora più ambizioso: creare una colonia di 500.000 persone entro gli anni sessanta, in modo che gli italiani si ponessero in maggioranza, costituendo i 2/3 della popolazione della Libia costiera.
Nel novembre 1942 anche la Tunisia, con i suoi 120.000 italiani, venne inclusa nella Quarta Sponda, ma pochi mesi dopo fu riconquistata dagli Alleati.

Il terzo passo: i Balcani occidentali

Nella primavera del 1941, grazie all'aiuto degli alleati tedeschi, l'Italia riuscì a sconfiggere la Grecia e conquistare parte della Jugoslavia.
Il Regno d'Italia annesse la Slovenia centrale e meridionale (provincia di Lubiana) e gran parte della Dalmazia, che andò a costituire l'omonimo governatorato.
Il generale Vittorio Ambrosio, comandante in capo dell'Esercito italiano durante la conquista della Dalmazia jugoslava, creò una linea d'occupazione italiana da Lubiana al Montenegro, che successivamente fu considerata il confine orientale della Grande Italia. Questa frontiera includeva il Montenegro, l'Albania etnica ed il Principato del Pindo, in Epiro. De Vecchi propose anche l'annessione alla Grande Italia di Corfù, delle Isole Ionie e delle isole egee meridionali, territori appartenuti alla Repubblica di Venezia, nonché le «genovesi» Chio e Samo. In questo progetto di De Vecchi tutti i Balcani occidentali dalla Slovenia alla Ciamuria sarebbero stati italiani; si sarebbe così creato uno «spazio vitale italiano», però assai meno esteso e ambizioso del Lebensraum germanico.

Spazio vitale nell'ideologia fascista italiana

Lo spazio vitale, che albergava nel pensiero fascista italiano, riassumeva e giustificava le sue aspirazioni di espansione territoriale.
Tuttavia, mentre la conquista dello "spazio vitale" nazista era basata sul razzismo scientifico, e implicava necessariamente un'operazione di ingegneria razziale sull'Europa, da attuarsi con il genocidio delle nazioni soggiogate, l'aspirazione egemonica di Benito Mussolini non presupponeva il genocidio, ma affidava alla razza italiana, considerata "custode e portatrice di una civiltà superiore", la missione di esportare la rivoluzione fascista fuori dai propri confini, "civilizzare" i territori conquistati, e «imporre i criteri morali e razziali, il diritto, la virtus e la libertas». Le nazioni sconfitte sarebbero state sottoposte al potere e alla "protezione" di Roma, pur mantenendo la propria lingua e la propria cultura. L'ideologo fascista Giuseppe Bottai, nei suoi Contributi dell'Italia al nuovo ordine, paragonava questa missione storica all'agire degli antichi romani, affermando che «i nuovi italiani avrebbero illuminato il mondo con l'arte, educato con la sapienza, dato ai nuovi territori una salda struttura con la tecnica e l'abilità amministrativa».
Lo "spazio vitale" sarebbe stato suddiviso tra il "piccolo spazio", cioè lo spazio fisico dei soli italiani, e il "grande spazio", abitato invece da altre popolazioni sotto la dominazione coloniale italiana, sul quale esercitare un potere sottratto a ogni ingerenza di potenze estranee. Lo "spazio vitale" sarebbe stato il perimetro entro cui imporre il Nuovo Ordine e nel quale realizzare quel ruolo storico speciale che, secondo la retorica fascista, sarebbe spettato alla nazione italiana.
L'estensione territoriale dello "spazio vitale" italiano doveva coprire l'intero Mediterraneo (il Mare Nostrum della retorica imperiale) e tutta l'Africa settentrionale, dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano. L'inequivocabile ambizione espansiva sul Mare Nostrum si era espressa già in maniera lampante con il massiccio impegno bellico profuso sul fronte della guerra civile spagnola, con 35.000 soldati impegnati, un esborso di oltre 6 miliardi di lire per l'approvvigionamento di materiale bellico, e le ingenti perdite umane, ammontanti a 4.000 morti e 11.000 feriti.

Il progetto mai realizzato

In caso di vittoria delle Potenze dell'Asse, Benito Mussolini era intenzionato ad acquisire il controllo della parte dell'isola di Creta occupata dai tedeschi e le circostanti isole greche del sud, in modo tale da allargare i possedimenti italiani oltre Dodecaneso e le Isole Ionie.
A sud della Quarta Sponda alcuni esponenti fascisti sognarono una Grande Italia che, partendo dal Fezzan, comprendesse Egitto, Sudan e l'Africa Orientale Italiana.
La vittoria degli Alleati e la successiva caduta del Fascismo posero fine al progetto.




Operazione Anthropoid

L'operazione Anthropoid fu la missione militare che ebbe come finalità l'uccisione del generale delle SS Reinhard Heydrich durante la seconda guerra mondiale. Il nome, che in greco significa "dall'aspetto umano", voleva in effetti rimarcare la disumanità del Reichsprotektor di Boemia e Moravia che di umano aveva solo l'aspetto.

L'IDEAZIONE DEL PIANO

Il 27 settembre 1941, a più di due anni dallo smembramento della Cecoslovacchia, il generale delle SS Reinhard Heydrich venne mandato a Praga quale responsabile comandante dei territori già cecoslovacchi occupati dal Reich, ovvero del cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia. A seguito dell'insurrezione del popolo ceco del 28 ottobre 1939, venne mandato per soffocare ogni possibile tentativo di resistenza da parte dei cechi.
Il regime di terrore che instaurò gli valse l'appellativo di "Boia di Praga", e le uccisioni indiscriminate che ne derivarono (sia di oppositori all'occupazione nazista, sia di cittadini innocenti) obbligarono il governo ceco in esilio a Londra a cercare di attuare una risposta militare mirata e di sicuro effetto.
L'azione venne concordata tra il governo ceco, la resistenza nazionale non comunista e il governo inglese.
La Royal Air Force (RAF) britannica addestrò dei paracadutisti cechi in Scozia dal 1941 per questa azione: i paracadutisti erano divisi in due gruppi, per specifiche azioni differenti. C'era il gruppo "Anthropoid", composto dai caporalmaggiori Jan Kubiš e Jozef Gabčík, che aveva come obbiettivo l'eliminazione del generale delle SS Reinhard Heydrich, e il gruppo "Silver A", di cui facevanno parte il tenente Alfred Bartos, il caporalmaggiore Josef Valcik e l' appuntato Jiri Potucek, il cui scopo era di supporto ad "Anthropoid" con spionaggio, attraverso la Resistenza Nazionale Ceca.

SUCCESSO DELL'ATTENTATO E RAPPRESAGLIA TEDESCA

Successivamente a questo gruppo di paracadutisti arrivati nel Protettorato, ne furono paracadutati degli altri: il tenente Adolf Opalka, il sergente Jaroslav Svarc, il caporale Josef Bublic e il caporale Jan Hruby. Il gruppo "Anthropoid e Silver A" vennero paracadutati nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1941. L'attentato ad Heydrich venne eseguito il 27 maggio 1942, nella curva della via Holesovickach, nella zona di Praga Libeň. Dopo un segnale convenuto, il caporalmaggiore Jozef Gabčík aveva provato a sparare con il mitra alla macchina di Heydrich che si stava avvicinando, ma il mitragliatore si inceppò. Allora il caporalmaggiore Jan Kubiš gettò una bomba a mano nell'auto del generale, ferendolo mortalmente. Reinhard Heydrich morì in ospedale il 4 giugno 1942 per setticemia dopo essere caduto in coma senza mai aver ripreso conoscenza.
Il generale Kurt Daluege, che prese il posto di Heydrich, scatenò il terrore contro la popolazione. Fu annunciata una ricompensa di dieci milioni di corone a chi avesse aiutato a trovare gli esecutori dell'attentato e la pena di morte per coloro che li avessero aiutati. Il giorno dopo i funerali di Heydrich il 9 giugno 1942, i tedeschi rasero al suolo il villaggio di Lidice per rappresaglia: uccisero 173 uomini al villaggio, 26 a Praga, 88 bambini furono ammazzati in Polonia, mentre 53 donne trovarono la morte nei campi di concentramento durante la "marcia della morte".
Prima di eseguire l'attentato, ci si pose il problema di dove i paracadutisti potessero nascondersi. A ciò doveva pensare Petr Fafek, che lavorava nella lega contro la tubercolosi. Nello stesso ufficio lavorava Jan Sonneved, capo del Consiglio della Chiesa Ortodossa di Cirillo e Metodio di via Resslova, a Praga. Fafek chiese a Sonneved dove poteva nascondere i paracadutisti. Tutti pensavano fosse compito della Resistenza nazionale Ceca. Parlando con il prete ortodosso Vladimir Petrek, seppero che c'era una catacomba all'interno della chiesa di San Cirillo e Metodio, e attraverso una persona in contatto con i paracadutisti, Jan Zelenka-Hajsky, decisero di rifugiarli nella catacomba.
Tutti si prestarono ad aiutare i paracadutisti: il prete superiore Vaclav Cikl, il sacrestano Vaclav Ornest e il vescovo Gorazd Matej Pavlik, anche se questi ultimi seppero molto tempo dopo che erano riparati nella catacomba. Ma la pressione del terrore a cui fu sottoposta la città fu tale, che uno dei paracadutisti tra gli ultimi arrivati, Karel Čurda tradì. Egli non era a conoscenza del rifugio nella catacomba, ma confessò diversi altri dettagli, sufficienti a consentire ai tedeschi di risalire alla chiesa dove erano nascosti. Il 18 giugno 1942, due battaglioni di SS (tra cui 360 SS di Praga), circondarono la chiesa, confrontandosi contro i sette paracadutisti alle 2:00 di notte. Gli ordini erano quelli di catturarli vivi. Opalka, Kubis e Bublik si difesero dal patio della chiesa fino alle 7:00 di mattina, per poter salvare gli altri quattro nascosti nella catacomba. Perirono tutti e tre, ma i tedeschi si accorsero del rifugio nella catacomba. I tedeschi ripresero quindi l'assalto. I paracadutisti si difesero fino all'ultima pallottola, con la quale si suicidarono per non cadere vivi nelle mani dei tedeschi.
Le famiglie di Vaclav Ornest (sacrestano), Vaclav Cikl (prete superiore), Jan Sonneved (capo del consiglio della chiesa ortodossa di Cirillo e Metodio) vennero deportate a Mauthausen insieme con altre 254 persone, dove perirono. Il vescovo Gorazd venne torturato per tre mesi e poi condannato a morte in un processo farsa insieme ai preti Cikl e Petrek e al signor Sonneved. Con questa azione venne azzerato il vertice della Chiesa ortodossa di Boemia.