L'Italia può quindi sedersi al tavolo dei vincitori, insieme alle altre potenze dell'Intesa e agli Stati Uniti, la cui entrata in guerra è praticamente decisiva per le sorti del conflitto, e pretendere quindi che i compensi territoriali accordati nel famoso Patto di Londra, decisivo per l'ingresso dell'Italia in guerra.
Nel Patto di Londra, per impegnarsi a fianco delle potenze dell'Intesa, l'Italia chiede il Trentino, la Venezia Giulia, la Dalmazia, le isole del Dodecanneso, la Libia, Eritrea e Somalia.
Alla conferenza di Parigi partecipano i rappresentanti dei paesi vincitori: Woodrow Wilson per gli Stati Uniti, Vittorio Emanuele Orlando per l'Italia, Lloyd George per il Regno Unito e Georges Clemenceau per la Francia.
Ma per il nostro Paese le cose non vanno proprio come stabilito dal Patto di Londra: l'Italia, oltre alla Dalmazia, chiede anche la città di Fiume. Wilson però non è disposto ad applicare in toto il Patto di Londra (non si sentiva in obbligo di applicarlo in quanto non ne era stato firmatario...), mentre la Francia non vede di buon occhio una Dalmazia italiana, che avrebbe consentito al nostro Paese di controllare i traffici marittimi in quella zona. Le potenze dell'Intesa si oppongono alle richieste italiane e ritrattarono parte di quello che era stato stabilito a Londra. Orlando, per protesta, abbandona la conferenza.
Solo in seguito, con i trattati di Rapallo (con la Jugoslavia) e il trattato di Saint-Germain (con l'Austria), l'Italia ottiene parte di quello che era stato stabilito dal Patto di Londra, mentre il 12 novembre 1919 Gabriele D'Annunzio, con una forza volontaria irregolare, occupa la città di Fiume, la cui situazione verrà sbloccata solo alcuni anni più tardi da Giolitti.
Con l'abbandono delle trattative di Parigi da parte di Orlando, nasce quello che è il mito della vittoria mutilata, che avrà grande importanza nel seguito della trattazione.
Nel 1919, gli operai delle fabbriche e i braccianti nelle campagne scesero spesso in sciopero per chiedere migliori condizioni di vita ed un salario più elevato, che raggiunsero il massimo nel 1920.
Intanto, si affacciavano nel Paese due nuovi partiti politici: il Partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo; ma soprattutto, i Fasci nazionali di combattimento, fondati da Benito Mussolini, in difesa degli ideali nazionalistici, che si rivolgeva agli ex combattenti e al ceto medio, facendo leva sullo spauracchio della rivoluzione comunista.
I Fasci di combattimento partecipano alle elezioni del novembre 1919, non riuscendo però ad eleggere alcun rappresentante.
Da quel momento, però, Mussolini riesce a catalizzare sia le ambizioni di crescita frustrate della piccola borghesia, disposta persino all'utilizzo della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo; a questi si aggiungevano, come "cani sciolti", i molti studenti universitari affascinati dalla carica eversiva e rivoluzionaria dell'arditismo come dall'idealismo e dalla mistica fascista e infine tutti quei nazionalisti declinanti al patriottismo massimalista. Iniziano allora le violenze delle squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista.
In pochi mesi si costituiscono in Italia oltre 800 nuovi Fasci, con circa 250.000 iscritti, i quali danno vita alle squadre d'azione, dette spregiativamente "squadracce" dagli avversari politici, che contrastano le leghe rosse e bianche, durante gli scioperi o le azioni di occupazione, in un diffuso clima di violenza politica.
La sistematica campagna fascista di distruzione dei centri di aggregazione socialista, popolare e sindacale di intimidazione e aggressione dei loro militanti - assieme alla contemporanea politica sotterranea condotta da Mussolini nei confronti dei partiti moderati e della destra - portarono il socialismo ad una crisi, mentre parallelamente cresceva la forza numerica e il morale dei Fasci di Combattimento. Così, mentre nel 1921 il Partito Socialista Italiano si disgrega in due successive scissioni, dando vita al Partito Comunista d'Italia, il 7 novembre 1921 nasce il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito, abbandonando le posizioni del sindacalismo rivoluzionario, accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate e distaccandosi sostanzialmente dalla linea politica fondativa del movimento, sancita nel Programma di San Sepolcro del 1919. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti.
Alle elezioni del 15 maggio 1921, il PNF riesce a portare in Parlamento i primi deputati, tra cui Mussolini.
L'ascesa politica di Mussolini ha così inizio.
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