Nel novembre 1921, come abbiamo visto, i Fasci italiani di Combattimento cambiano nome in Partito Nazionale Fascista (PNF), ma al suo interno ci sono contrasti tra le spinte rivoluzionarie e le istanze di crescita costituzionale. Mussolini opta per la "via costituzionale", cercando al tempo stesso di frenare le squadre d'azione e conquistando il consenso del popolo italiano, coinvolgendo allo scopo anche il poeta D'Annunzio.
Intanto, nell'estate del 1922, c'è quello che si può definire un prodromo della Marcia su Roma: il 2 agosto, i fascisti occupano militarmente Ancona, allo scopo di saggiare l'eventuale reazione del Re Vittorio Emanuele III e capire quale sarebbe stata la posizione dell'esercito.
Ma arriviamo al 24 ottobre 1922: a Napoli si tiene una grande adunata di camicie nere, in cui Mussolini proclama impunemente: "O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma!". Facta, l'allora presidente del consiglio, risponde in modo del tutto privo di senso, pronunciando la frase che passerà alla storia: "Nutro fiducia".
A Napoli viene organizzata la Marcia su Roma: Mussolini, prudentemente, non avrebbe partecipato direttamente alla Marcia, ma avrebbe seguito gli sviluppi da Milano; a condurre la Marcia, sarebbe stato un quadrumvirato: Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi, mentre Dino Grandi è nominato capo di stato maggiore del quadrumvirato: questi uomini avrebbe assunto poi pieni poteri a Perugia nella notte tra il 26 ed il 27 ottobre.
Truppe fasciste, nei programmi, avrebbero nel frattempo occupato uffici pubblici, stazioni, centrali telegrafiche e telefoniche, che sarebbero poi confluite a Foligno, Tivoli, Santa Marinella e Monterotondo. Si raccolsero, per l'evento storico, ben 30.000 fascisti vestiti in camice nere.
La vigilia della Marcia, il 27 ottobre, i quadrumviri emanano un minaccioso proclama, in cui dichiarano, senza mezzi termini, che "l'Esercito delle Camicie Nere riafferma la vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio. [...] La legge marziale del Fascismo entra in pieno vigore." E' l'annuncio della ribellione.
Farinacci, uno dei ras più focosi, insofferente alla regole ma fedelissimo a Mussolini, inizia la Marcia su Roma con un giorno d'anticipo: a Cremona, la città di cui Farinacci è originario, fa occupare da 150 camicie nere la prefettura, mentre altre squadre occupano le poste, la stazione ferroviaria, i telefoni. Vi sono anche degli scontri con le guardie regie e i carabinieri in cui moriranno tre persone.
Il prefetto di Cremona rimette i poteri all'autorità militare. I quadrumviri, nel frattempo, ordinano a Farinacci di sospendere la sua azione, ma lui chiama Mussolini e lo convince a continuare.
Sempre quel 27 ottobre, i quadrumviri sono a Perugia dove, con le squadre loro assegnate, occupano l'ospedale militare di Santa Giuliana, la questura e le porte d'accesso alla città, e ripetono quello che ha fatto Farinacci a Cremona: occupano, cioè, la prefettura, le poste, i telegrafi e la stazione ferroviaria. Tutto ciò, senza l'intervento delle autorità, che anzi se ne lavano le mani. Le stesse azioni avvengono anche a Pisa e Firenze.
Facta, alle prime notizie, telegrafa al Re invitandolo a ritornare a Roma da San Rossore, cosa che il sovrano fa in serata. Il presidente del consiglio chiede al Re di applicare lo stato di assedio, ma il sovrano non accetta la proposta per "pressione di moschetti fascisti!".
Nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre, Facta viene informato che colonne di camicie nere sono partite verso Roma, mentre il Re chiedeva all'esercito se gli sarebbe stato fedele in caso di stato d'assedio. Diaz, il Duca della Vittoria, risponde per tutti: "l'esercito avrebbe certamente fatto il suo dovere, ma sarebbe stato bene non metterlo alla prova".
La mattina del 28 ottobre, il ministro dell'Interno Taddei prepara un proclama di stato d'assedio, che Facta porta immediatamente al Re per la ratifica, ma con grande sorpresa del presidente del consiglio il sovrano rifiuta di sottoscriverlo, inducendo come motivo quello di non volere una guerra civile. Facta decide così di formalizzare le sue dimissioni al Re.
Vittorio Emanuele III decide così, tramite il generale Cittadini, di inviare un telegramma a Mussolini, che si trova sempre a Milano, per conferire con lui.
Il 30 ottobre, Mussolini giunge a Roma e parla per un'ora con il sovrano promettendogli di formare entro sera un nuovo governo, cosa che avviene esattamente alle 18.
Fuori Roma, intanto, sono accampate decine di migliaia di camicie nere in attesa di entrare nella capitale, cosa che avvenne il 31 ottobre davanti al Re Vittorio Emanuele III in persona per più di 6 ore. In seguito, Mussolini ordinerà la smobilitazione generale.
Inizia, così, per il nostro Paese, il governo Mussolini, lungi dal diventare dittatura...
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