Già dal novembre 1934 cominciarono le prime scaramucce con il Paese del Corno d'Africa: in particolare, il 4 novembre, gruppi armati etiopici attaccarono il consolato italiano di Gondar, mentre il 5 dicembre 1500 soldati abissini attaccarono, a Ual Ual, una postazione italiana, causando 80 vittime tra i difensori.
Mussolini chiese le scuse ufficiali al governo etiope e il pagamento di un'indennità alle famiglie dei caduti, ma il negus Selaisse decise di rimettersi alla Società delle Nazioni, che si impegnò per un arbitrato tra le parti. Nel gennaio 1935, la Società delle Nazioni riconobbe la buona fede dei due stati per i fatti di Ual Ual e decise che il fatto doveva essere discusso tra le due parti in causa, ma a marzo gli etiopi presentarono un altro ricorso. Nel frattempo, il 23 marzo, una pattuglia abissina oltrepassò il confine con l'Eritrea attaccando alcune guardie di confine ed uccidendo il buluk-basci locale.
A Cagliari, l'8 giugno, Mussolini rivendicò il diritto dell'Italia di attuare la propria politica coloniale e, in un'intervista successiva, il dittatore dichiarò che non sarebbero stati lesi gli interessi di Francia e Gran Bretagna in Africa.
Consapevole che non avrebbe rischiato un conflitto su più fronti (con la dichiarazione di neutralità di Francia e Giappone), il 2 ottobre Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia dove teneva i suoi discorsi più celebri, proclamò, davanti ad una folla estasiata, la guerra all'Etiopia, rispolverando anche i temi della "vittoria mutilata". A questo proclama, però, non seguì una vera e propria dichiarazione di guerra ai rappresentanti dello Stato etiope.
Il 3 ottobre, 100000 soldati italiani ed un considerevole numero di Ascari (militi indigeni), comandati del maresciallo Emilio De Bono, cominciarono ad avanzare dalle loro basi in Eritrea.
Le prime operazioni importanti furono l'occupazione di Adua (6 ottobre), dove nel 1896 subirono una cocente sconfitta dai soldati etiopi, e l'occupazione di Axum (15 ottobre), capitale religiosa dell'Etiopia. Il 9 novembre venne presa anche Macallè.
Intanto, da sud, il generale Graziani, con un contingente, partì dalla Somalia e in venti giorni occupò i presidi etiopi di Dolo, Ualaddaie, Bur Dodi e Dagnarei.
Nel frattempo, l'11 ottobre, la Società delle Nazioni sanzionò l'Italia per l'invasione con l'embargo su armi e munizioni, divieto di ricevere prestiti, divieto di importare merci italiane, divieto di esportare in Italia merci o materie prime necessarie all'industria bellica. Paradosso, l'embargo non riguardava petrolio e semilavorati...
In realtà, solo la Gran Bretagna rispettò gli accordi. Germania (che era uscita dalla Società delle Nazioni alcuni anni prima) e gli Stati Uniti (che non ne faceva parte) si schierarono dalla parte dell'Italia, mentre l'URSS e la Polonia si dimostrarono comunque molto aperte.
Il 28 novembre, Mussolini decise di sostituire De Bono con il generale Badoglio, che stabilì il proprio quartier generale a Macallè. A dicembre, però, truppe del generale Criniti vennero costrette alla ritirata da alcune avanguardie etiopi al fiume Tacazzè, mentre nel Tembien altre truppe etiopi costrinsero gli italiani a ritirarsi presso il Passo Uarieu.
Il 20 gennaio 1936, il generale Badoglio, per togliere l'iniziativa al nemico, decise di attaccare, occupando alcune posizioni chiave; ma il giorno dopo, la colonna di camicie nere del console Diamanti venne attaccata dagli abissini ed isolata, venendo quasi annientata. Il XII Battaglione Ascari intervenne per trarre in salvo i sopravvissuti, e ripiegarono di nuovo verso il Passo Uarieu, dove gli abissini strinsero d'assedio gli italiani: durante questa battaglia, l'aviazione sganciò bombe ed iprite sulle truppe etiopi. Dopo tre giorni d'assedio, le truppe del generale Vaccarisi riuscì a rompere l'assedio, impedendo così agli etiopi di dilagare nella piana di Macallè.
Il 10 febbraio, Badoglio mosse le truppe verso il massiccio dell'Amba Aradam, che fu rapidamente accerchiato. L'armata del ras Mulughietà attaccò per rompere l'assedio; ma il 15 febbraio, a causa del numero soverchiante delle truppe italiane e all'attacco dell'aviazione, le truppe etiopi furono costrette alla ritirata.
Il 27 febbraio, le truppe italiane attaccarono l'armata etiope disposta sul Tembien, riuscendo ad annientarla anche grazie all'utilizzo dell'iprite e delle bombe. Alcuni reparti italiani riuscirono, inoltre, ad occupare l'Amba Alagi.
Altre truppe italiane attaccarono un'armata etiope attestata nello Scirè: inizialmente, gli etiopi riuscirono ad infliggere importanti perdite agli italiani ma poi, d'accordo con l'imperatore Selaisse, si ritirarono verso il fiume Tacazzè.
Hailè Selaisse, dopo questa sconfitta, radunò le proprie truppe e mosse verso gli italiani a nord. Le due armate di scontrarono nella conca di Mai Ceu: il 31 marzo, gli alpini riuscirono a respingere gli attacchi etiopi,. Vi fu poi un contrattacco da parte degli Ascari e degli alpini. La battaglia si concluse con gravi perdite per entrambi gli schieramenti. Selaisse ordinò la ritirata verso Dessiè, che venne poi occupata dal generale Pirzio Biroli il 15 aprile.
In precedenza, a gennaio, le truppe di Graziani a sud vennero impegnate a Dolo dalle truppe del ras Destà. Saputo in anticipo delle intenzioni etiopi, Graziani ordinò all'aviazione di attaccare le colonne in marcia, utilizzando anche i gas asfissianti. Il 20 gennaio, Graziani occupò Neghelli.
Il 15 aprile, Graziani occupò Harar ed il 25 aprile Dagahbur. La pioggia rallentò l'avanzata delle truppe, che raggiunsero Dire Daua poche ore dopo il passaggio dell'imperatore Selaisse in viaggio verso l'esilio. Graziani, per intercettare il treno dell'imperatore in esilio, chiese più volte di bombardare i binari, ma il permesso gli venne negato da Mussolini stesso.
Il 5 maggio le truppe di Badoglio entrarono in Addis Abeba e la sera dello stesso giorno Mussolini comunicò al popolo italiano la vittoria.
Il 7 maggio l'Abissinia venne annessa all'Italia ed il 9 maggio, da Palazzo Venezia, Mussolini annunciò la fine della guerra e proclamò la nascita dell'Impero, riservando al Re Vittorio Emanuele III la carica di Imperatore d'Etiopia e per entrambi la carica di Primo Maresciallo dell'Impero.
Eritrea, Abissinia e Somalia vennero così riunite sotto un unico governatore, e la nuova colonia venne chiamata Africa Orientale Italiana.
Per un certo periodo, le truppe fedeli a Selaisse tentarono delle azioni di guerriglia, represse nel sangue da Graziani.
Durante questa guerra, come già accennato riguardo ad alcune battaglie, vennero utilizzati i gas asfissianti per combattere le truppe etiopi: Mussolini, nel dicembre 1934, scriveva al generale Badoglio che l'utilizzo dei gas era necessario per la "conquista totale dell'Etiopia".
Già dalle prime battaglie, Badoglio e Graziani utilizzarono i gas soprattutto per risolvere situazioni intricate per l'esercito italiano, ma purtroppo vennero utilizzati anche per bombardare le popolazioni, pascoli, villaggi e fiumi.
Selaisse denunciò l'utilizzo delle armi chimiche da parte degli italiani, alla Società delle Nazioni nel maggio 1936.
Mussolini addirittura prospettò anche l'utilizzo di armi batteriologiche, ma Badoglio ebbe sin da subito delle riserve, adducendo come motivo il fatto che i gas già stavano dando "buoni effetti".
Badoglio e l'apparato militare italiano mantennero il più stretto riserbo sull'utilizzo delle armi chimiche in Etiopia, e il popolo italiano perciò non venne mai a conoscenza del loro utilizzo.
Ma dopo la denuncia di Selaisse ed il bombardamento di ospedali da campo belgi e svedesi, Mussolini fu costretto ad una parziale ammissione, minimizzando le dimensioni dei fatti e giustificandoli come ritorsioni legittime, in quanto anche gli etiopi torturavano i prigionieri italiani.
Lo storico svizzero Mattioli intravede nella brutalità della guerra d'Etiopia uno dei germi della Seconda Guerra Mondiale.
Le sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni nell'ottobre 1934, vennero sfruttate dal regime fascista affinchè l'Italia si stringesse attorno a Mussolini. In particolare, la Gran Bretagna venne etichettata come il nemico pubblico numero uno, e ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse verso l'utilizzo dei soli prodotti italiani. Nacque così l'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto quello che non poteva essere più prodotto per mancanza delle materie prime venne sostituito: il tè con il carcadè, la lana con il lanital, il carbone con la lignite, la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool), mentre il caffè venne sostituito con il caffè d'orzo.
Inoltre, anche la linguaggio subì delle modifiche: tutti i forestierismi vennero banditi, con risultati a volte imbarazzanti (il cognac diventa arzente). Tutte le città con nomi francofoni o tedescofoni vennero rinominate, infine il lei venne bandito, sostituito dal voi!
La nascita dell'impero, alla fine dei conti, non portò nessuna delle ricchezze promesse: né oro, né ferro, né grano! Anzi, l'Impero finì per prosciugare le casse statali per costruire strade, edifici e dighe, e dette a Mussolini l'illusione di avere un esercito potente.
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