La crisi economica del 1929 colpì il mondo intero con effetti devastanti e con ripercussioni che furono sentite per tutti gli anni trenta.
Iniziata con il crollo di Wall Street del 24 ottobre 1929, ebbe come prima conseguenza il crollo della borsa valori del 29 ottobre. La crisi colpì in egual misura i paesi industrializzati e quelli esportatori di materie prime, provocò il crollo del commercio internazionale, ma soprattutto provocò una diminuzione drastica dei redditi dei lavoratori, dei prezzi e dei profitti.
Le città più grandi furono quelle più colpite, ma gli effetti si sono fatti sentire anche nei paesi rurali, a causa di un crollo dei prezzi tra il 40% ed il 60%.
La causa principale della crisi del 1929 è stata la pretesa ottocentesca e deterministica dei liberisti dell’epoca che il mercato avesse una capacità quasi naturale di autoregolarsi, senza alcun intervento esterno, meno che mai dello Stato.Dalla crisi nascono sia le politiche economiche di stampo keynesiano del Brain Trust di Roosevelt, sia il mito della capacità di sviluppo equilibrato delle economie pianificate di tipo sovietico che ha avuto una grande influenza su larghe fasce di intellettuali e dell’opinione pubblica europea e americana.La crisi del 1929 è stata così istantanea che provoca un panico incredibile. Alcuni storici parlano, infatti, non a torto di crisi economica e psicologica, determinata sicuramente anche dal eccessivo ottimismo e autoreferenzialità della società capitalistica statunitense.Il 24 ottobre del 1929 l’ottimismo si rivela assolutamente infondato: furono vendute al ribasso ben 12.894.650 azioni. Migliaia di brokers vengono presi dal panico, si registrarono numerosi suicidi tra gli speculatori e i mediatori di borsa. I piccoli e medi risparmiatori sono stati naturalmente i più colpiti e devono ricominciare da capo la loro lotta per la sopravvivenza, non contando più sulle promesse di arricchimento facile. In meno di un mese anche le banche chiudono i cordoni del credito, accentuando ancor di più la crisi. Le migliaia di migliaia di società, spesso non solide, cresciute nel periodo della speculazione falliscono, le loro merci invendute si accumulano nei magazzini, i loro dipendenti vengono licenziati. L’aspetto più preoccupante della crisi è stata, infatti, la crescita geometrica della disoccupazione nei primi tre anni di crisi: dai 2 milioni di disoccupati del 1929, si passò a 4 milioni nel 1930, a 8 milioni nel 1931.
Una prima causa di fragilità del sistema economico internazionale è insita nell'eredità dei debiti di guerra. Alla fine del conflitto infatti Gran Bretagna, Francia e Italia si erano ritrovate debitrici con gli Stati Uniti per somme ingenti, che costringevano tutte e tre a una politica di esportazioni molto aggressiva per procurarsi la valuta necessaria a pagare i debiti. Si era quindi fatta strada l'idea di adottare lo stesso espediente dell'indomani della guerra franco-prussiana, quando le riparazioni di guerra imposte alla Francia avevano permesso non solo di coprire il costo della guerra ma anche di consentire la ripresa economica. Perciò fu deciso di addebitare i costi bellici alla Germania.
L'industria tedesca, pur avendo un grande potenziale, era uscita dalla guerra stremata. Da allora gli stessi paesi vincitori, soprattutto gli Stati Uniti, si erano resi conto della necessità di sostenere l'economia tedesca con ingenti finanziamenti. Questi finanziamenti avevano creato un curioso triangolo in cui la Germania usava gran parte di queste risorse per pagare i debiti a Gran Bretagna e Francia, e queste a loro volta usavano i capitali per pagare i propri debiti. Dunque questo sistema sarebbe sopravvissuto fin quando gli U.S.A. fossero stati in grado di esportare capitali in Germania.
Un secondo elemento di fragilità del sistema economico internazionale era costituito dall'assenza di un Paese guida credibile, con la volontà e un'influenza tale da correggere eventuali crisi economiche globali. Dopo la Grande guerra il primato sarebbe dovuto passare in mano agli Stati Uniti, i quali, pur avendo un apparato industriale di gran lunga superiore a quello degli altri paesi, tuttavia non si impadronirono dello status internazionale che gli sarebbe spettato a causa di una politica isolazionista (status che rimase in mano alla Gran Bretagna). L'assenza di un'appropriata guida economico-finanziaria si rifletteva in modo drammatico sul sistema internazionale: nella conferenza di Genova del 1922 venne definito un sistema misto, noto come gold exchange standard, che da una parte garantiva respiro all'economia britannica, dall'altro affidava alla sua finanza un ruolo di regolatore dell'economia internazionale che non era in grado di assumere.
La crisi si propagò rapidamente a tutti i paesi che avevano stretti rapporti finanziari con gli Stati Uniti, a partire da quelli europei che si erano affidati all'aiuto economico degli americani dopo la Prima guerra mondiale, ovvero Gran Bretagna, Austria e Germania, dove il ritiro dei prestiti americani fece saltare il complesso e delicato sistema delle riparazioni di guerra, trascinando nella crisi anche Francia e Italia. In tutti questi paesi si assistette a un drastico calo della produzione seguito da diminuzione dei prezzi, crolli in borsa, fallimenti e chiusura di industrie e banche, aumento di disoccupati (12 milioni negli USA, 6 in Germania, 3 in Gran Bretagna). In Italia, allo scoppio della grande crisi, Mussolini ordinò di ignorare totalmente l'evento, tanto era sicuro che gli effetti nel nostro Paese non si sarebbero fatti sentire: invece, l'economia nazionale entrò in una profonda crisi che portò alla nascita del IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e che durò fino alla fine degli anni trenta.Va notato che la crisi non colpì l'economia dell'URSS, la quale in quegli anni aveva inaugurato il suo primo piano quinquennale con l'obiettivo di creare una base industriale moderna. Restarono inoltre immuni dalla crisi anche il Giappone - che affrontò la crisi (inclusa la guerra) con misure inflazionistiche - e i Paesi scandinavi che, in quanto esportatori di particolari materie prime, non risentirono della riduzione della domanda dei loro prodotti.
Nel 1931 la Gran Bretagna abbandonò il gold standard, imitata subito dai paesi scandinavi. Nel 1934 sterlina e dollaro vennero fortemente svalutati.
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