Nel primo anno e mezzo di governo, Mussolini intraprende una serie di iniziative ("normalizzazione" delle squadre fasciste, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, la riforma della scuola ed altri), ma in vista delle elezioni del 6 aprile 1924, il primo ministro fa approvare la nuova legge elettorale, la cosiddetta Legge Acerbo, che prevede l'adozione di un sistema proporzionale a premio di maggioranza: nel caso in cui la lista più votata avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe ottenuto i 2/3 dei seggi alla Camera dei Deputati, eleggendo in blocco tutti i suoi candidati, in quanto le liste potevano presentare non più di 356 candidati (su 535 seggi nella Camera disponibili).
Il 6 aprile 1924, come prevedibile, la lista del Partito Nazionale Fascista ottiene il 60,09% dei voti: i fascisti riescono anche a limare il numero dei seggi garantiti alle minoranze, partecipando alla loro spartizione attraverso delle liste civetta ottenendo altri 19 seggi, mentre le opposizioni di centro e di sinistra ottengono solo 161 seggi (35,1% dei voti).
Il 30 maggio 1924, un deputato socialista, Giacomo Matteotti, prende la parola durante la riunione della Camera dei Deputati e contesta apertamente i risultati delle elezioni del 6 aprile, denunciando violenze, illegalità ed abusi commessi dai fascisti per vincere le elezioni, pronunciando un discorso che sarebbe diventato famoso: "[...] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. [...] L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse."
Matteotti propone di far invalidare almeno l'elezione di una parte di quei deputati che, secondo lui, sarebbero stati illegalmente eletti, ma ovviamente la sua proposta non è accolta con ben 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti. Secondo lo storico Renzo De Felice, l'intenzione di Matteotti non era tanto quella di far invalidare il voto (anche perché sapeva, realisticamente, che ciò era impossibile), ma sperava di dare il via ad una netta opposizione al fascismo.
Ma il 10 giugno 1924, Matteotti, uscendo di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio, presso gli Archi di Porta del Popolo (secondo la testimonianza di due ragazzini), viene rapito da cinque membri della polizia politica (Dumini, Volpi, Viola, Malacria e Poveromo), che lo caricarono su un auto (sembra una Lancia Lambda).
Nel veicolo avviene una rissa furibonda, e Matteotti riesce a far cadere dal finestrino il suo tesserino da parlamentare (che verrà poi ritrovato da due contadini presso il Ponte del Risorgimento). Non riuscendo a tenerlo fermo, Viola colpisce Matteotti sotto l'ascella e al torace con un coltello, uccidendolo dopo un'agonia di diverse ore. I cinque scaricano poi il corpo dello sventurato deputato presso la Macchia della Quartarella, a 25 km di Roma, e tornati nella capitale informano immediatamente dell'accaduto De Bono e Filippelli (giornalista che ha fornito l'auto utilizzata per il delitto) e si allontanano cercando di nascondersi.
L'11 giugno, la notizia della scomparsa di Matteotti si trova su tutti i giornali, e il giorno dopo Mussolini deve rispondere ad un'interrogazione parlamentare posta dal deputato Enrico Gonzales sull'accaduto.
Due giorno dopo il rapimento, viene ritrovata l'auto usata per il rapimento e grazie ad una testimonianza, viene identificata come l'auto del giornalista Filippelli: da questo, vengono avviate le prime indagini da parte del magistrato Del Giudice che, insieme al giudice Tancredi, individuano in Dumini come l'assassino. In breve tempo, tutti i rapitori vengono identificati, ma Mussolini interviene nella vicenda e leva l'incarico a Del Giudice , fermando al tempo stesso le indagini (quest'ultimo viene poi allontanato da Roma e costretto al pensionamento forzato!).
La vicenda Matteotti crea uno scossone all'interno del PNF: Mussolini impone le dimissioni a Cesare Rossi (da capo della polizia segreta) e ad Aldo Finzi (da incarichi di governo); il Duce stesso si dimette da ministro dell'Interno (affidando l'incarico a Luigi Federzoni) e costringe anche Emilio De Bono alle dimissioni da capo delle polizia.
Il 26 giugno, i parlamentari dell'opposizione si riuniscono in una sala di Montecitorio (oggi nota come sala dell'Aventino), decidendo di abbandonare i lavori parlamentari fino a quando il governo non avrà fatto chiarezza sulla vicenda Matteotti. Il giorno dopo, mentre alcuni deputati socialisti vanno in pellegrinaggio nel luogo dell'omicidio del loro collega, Filippo Turati commemora Matteotti alla Camera.
L'8 luglio, approfittando dell'assenza dell'opposizione, il governo vara una serie di regolamenti restrittivi relativi alla stampa.
Il corpo di Matteotti viene ritrovato, casualmente, il 16 agosto, e Mussolini ordina a Federzoni di preparare i funerali del deputato a Fratta Polesine, città natale di Matteotti.
Per l'omicidio Matteotti, verranno poi intentati una serie di processi, che porteranno alla condanna, nel 1926, per omicidio preterintenzionale e ad una pena di 5 anni per Dumini, Volpi e Poveromo, mentre per Malacria, Viola e Panzeri ci sarà l'assoluzione.
Il 3 gennaio 1925, Mussolini fa il famoso discorso alla Camera in cui dichiara la propria responsabilità per l'omicidio di Matteotti, ma al tempo stesso dà inizio alla dittatura fascista.
Nel biennio 1925-1926, il governo fascista varerà una serie di provvedimenti liberticidi: vengono sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, viene soppressa ogni libertà di stampa, viene ripristinata la pena di morte e viene creato un Tribunale speciale con ampi poteri.
Con una legge del 24 dicembre 1925, Mussolini cessa di essere Presidente del Consiglio e diventa primo ministro segretario di stato, responsabile solo davanti al re e non più al Parlamento; a loro volta i vari ministri sono nominati dal re su proposta del primo ministro e responsabili sia di fronte al re sia di fronte al primo ministro. Inoltre la legge stabilisce che nessun progetto potrà essere discusso dal Parlamento senza l’approvazione del primo ministro.
Inizia così la dittatura fascista.
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