martedì 26 marzo 2013

Il patto Molotov-Ribbentrop, l'invasione della Polonia e l'inizio della Seconda Guerra Mondiale

Dopo l'invasione della Cecoslovacchia e il non intervento di Francia e Gran Bretagna, Hitler oramai si convinse ad osare ancora di più con l'invasione della Polonia, nella errata convinzione che le due grandi potenze occidentali non sarebbero intervenute neanche questa volta.
Le prime scaramucce cominciarono già nel marzo 1939, quando Hitler fece tre richieste alla Polonia: la città di Danzica, il consenso alla costruzione di un'autostrada e di una ferrovia che consentissero il collegamento tra la Germania e la Prussia Orientale attraverso il corridoio di Danzica, ed infine una garanzia, a lunga scadenza, del nuovo assetto territoriale.
Nel frattempo, il 31 marzo i tedeschi invasero la città di Memel, in Lituania, e Neville Chamberlain tenne un discorso in cui dichiarò il sostegno di Francia e Gran Bretagna alla Polonia in caso di invasione tedesca, ultimo ammonimento ad Hitler di non compiere altri passi di guerra.Tutto ciò, ovviamente, non fermò il Fuhrer, che ordinò, il 3 aprile, allo Stato maggiore tedesco di preparare un piano di invasione della Polonia.
Nel frattempo, Gran Bretagna e Francia cercarono di coinvolgere l'Urss in un accordo di protezione della Polonia, ma il rifiuto dei polacchi ad accettare l'idea che l'Armata Rossa operasse nel proprio territorio, provocarono una sospensione della trattative.
Stalin, ovviamente, voleva allungare le proprie mani sul territorio polacco, e ciò lo convinse ad abbandonare l'idea di accordarsi con Francia e Gran Bretagna e di aprire trattative con le Germania di Hitler.
Stalin era interessato ai territori appartenuti agli zar, inclusi parte della Finlandia, Moldova e stati baltici. Nell'estate del 1939 iniziarono così trattative tra russi e tedeschi, che portarono, il 23 agosto 1939, alla firma del patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop, dal nome dei ministri degli esteri di Russia e Germania. Questo evento sorprese tutti nel mondo, in quanto nessuno avrebbe mai creduto che due paesi così lontani ideologicamente (ricordiamo che l'Urss vigeva una dittatura comunista) si sarebbero potuti accordare. Questo patto stabiliva, nei suoi quattro articoli, le sfere di influenza: al primo articolo, il confine tra le due sfere coincideva con la frontiera settentrionale della Lituania, e quindi Finlandia, Estonia e Lettonia ricadevano sotto l'influenza sovietica; al secondo articolo, Germania ed Urss stabilivano le loro sfere di influenza in Polonia, in particolare le aree ad est dei fiumi Narew, Vistola e San ricadevano sotto l'influenza sovietica, mentre quelle ad ovest sotto quella tedesca; nel terzo articolo, la Germania dichiarava il suo disinteresse verso la Bessarabia; al quarto articolo, le due potenze promettevano la segretezza di questo documento aggiuntivo.
Il patto, che fu un vero e proprio capolavoro diplomatico tedesco, consentì ad Hitler (la cui intenzione era quella, in futuro, di non rispettare questo patto...) di dedicarsi anima e corpo all'invasione della Polonia.
Il piano tedesco di invasione, denominato Fall Weiss, "caso bianco", fu ideato dal generale Franz Halder e prevedeva lo svolgersi della cosiddetta "guerra mobile", basata sull'attività congiunta delle forze corazzate ed aeree, che avrebbe consentito un rapido avvicinamento alla capitale. Il piano prevedeva l'attacco simultaneo di due gruppi di armate: un gruppo avrebbe invaso il corridoio di Danzica per poi piegare a sud verso Varsavia, l'altro gruppo avrebbe invaso la Polonia dalla Slesia in direzione della capitale.
L'inizio delle ostilità venne stabilito inizialmente per il 26 agosto, ma venne ritardato a causa delle trattative intercorse tra Polonia e Paesi Alleati. Le truppe, dislocate sul confine polacco, venne così messe in stato d'allarme per il 31 agosto, così che il giorno dopo potessero dare inizio all'invasione.
I polacchi, ormai certi che la Germania avrebbe tentato di invadere il loro paese, stanziarono la quasi totalità dell'esercito al ridosso del confine, convinti che i tedeschi avrebbero attaccato da là, ma convinti anche dal fatto che i Paesi Alleati non avrebbero lasciato la Polonia in balia del nemico.

Il 1º settembre prese il via l'attacco tedesco ma alcuni atti furono compiuti prima delle ore 04:45, ora prevista per l'inizio del piano Fall Weiß: alle ore 04:17 a Danzica alcuni attivisti nazisti presero d'assalto un ufficio postale tenuto dai polacchi, ma gli impiegati, dotati di armi, fecero fuoco sugli assalitori riuscendo a respingerli; alle 04:26 tre Ju 87 bombardarono con precisione il dispositivo di micce, piazzate su un ponte sulla Vistola dai polacchi per distruggerlo, al fine di chiudere quella via di accesso ai tedeschi: tale attacco, condotto a bassissima quota, ebbe successo e la distruzione del ponte fu impedita. Alle ore 04:40 venne bombardata la città di Wieluń con la morte di circa 1.200 persone ed il danneggiamento o la distruzione di un grande numero di edifici, e, poco dopo le ore 04:45, l'antiquata corazzata tedesca Schleswig-Holstein aprì il fuoco contro il deposito di munizioni contenuto all'interno della fortezza di Westerplatte.
Alle ore 04:45, le artiglierie aprirono il fuoco contro gli obiettivi prestabiliti e gli aerei si lanciarono sugli obiettivi loro assegnati. Nel nord della Polonia una fitta nebbia limitò fortemente l'efficacia delle prime incursioni, mentre nella parte sud i bombardamenti aerei inflissero gravi danni alla rete ferroviaria, che in quel momento era utilizzata per il trasporto dei soldati che avevano risposto all'ordine di mobilitazione del giorno precedente. Contemporaneamente le divisioni corazzate tedesche, seguite dalla fanteria, iniziarono ad avanzare.
Da nord la 3ª armata avanzò verso sud in direzione di Varsavia con il I corpo ed il II corpo, comandati rispettivamente dal generale Walter Petzel e dal generale Adolf Strauß, ed in direzione sud-ovest con il XXI corpo, comandato dal generale Nikolaus von Falkenhorst, allo scopo di unirsi con il XIX corpo corazzato, comandato dal generale Heinz Guderian, e con la Panzer-Division Kempf, che avevano iniziato l'avanzata da ovest, per chiudere la tenaglia alla base del corridoio; Danzica fu occupata dalla brigata Eberhard, una forza composta da reparti delle Waffen-SS, appoggiati da elementi appartenenti alla milizia locale filo-nazista.
Nel settore sud l'8ª armata avanzò in direzione di Łódź, con il duplice compito di contribuire ad accerchiare le forze polacche presenti nel settore di Poznań e di proteggere il fianco sinistro della 10ª armata che doveva puntare velocemente verso Varsavia, mentre la 14ª armata si dirigeva in direzione di Cracovia; le condizioni meteorologiche più favorevoli permisero attacchi aerei più efficaci e le forze polacche a presidio della frontiera, le quali, sulla base del piano Zachód non avevano predisposto linee di difesa mobili o progressive, furono velocemente superate dai carri armati e circondate dalla fanteria, mentre la Luftwaffe, oltre a distruggere le linee ferroviarie e di comunicazione, riuscì facilmente ad avere ragione dei pochi aerei polacchi che riuscirono a decollare. Un episodio di resistenza polacca si verificò nella giornata a Mokra, dove la brigata a cavallo Wolynska, supportata efficacemente dal treno corazzatoŚmiały ma martoriata dalla Luftwaffe, respinse per tutta la giornata i mal coordinati attacchi della 4ª divisione corazzata e della fanteria tedesca, ritirandosi solo in serata.
Nella zona di confine slovacco-polacca il XXII corpo d'armata del generale von Kleist si aprì la strada attraverso le unità polacche attestate sul fiume Dunajec, non ottenendo però, anche a causa del terreno difficile, considerevoli progressi sui Carpazi.
Il 2 settembre la tenaglia alla base del corridoio fu chiusa dalle punte avanzate della 4ª armata e due divisioni di fanteria ed una brigata di cavalleria, appartenenti all'armata della Pomerania, vi rimasero intrappolate: solo alcune unità della brigata di cavalleria Pomorska tentarono di sfuggire dalla sacca, lanciandosi in un disperato contrattacco contro i carri armati del XIX corpo corazzato venendo praticamente annientate nella battaglia della foresta di Tuchola, mentre la sera tra il 2 ed il 3 settembre la brigata di cavalleria Podlaska sferrò un ridotto e breve attacco lungo un settore del fronte orientale prussiano, compiendo di fatto l'unica incursione polacca sul suolo tedesco. La chiusura della sacca fruttò ai tedeschi circa 15.000 prigionieri e le rimanenti forze dell'armata polacca indietreggiarono verso Varsavia per non essere tagliate fuori a loro volta dall'avanzata della 3ª armata, la quale stava proseguendo l'attacco verso la città di Mława; le difese anticarro polacche avevano momentaneamente bloccato l'attacco della divisione corazzata Kempf, che, il 3 settembre, riuscì a conquistare la città grazie all'intervento del XXI corpo comandato dal generale Albert Wodrig, il quale si fece largo tra le difese, consentendo alla divisione corazzata di circondarla velocemente, ottenendo il duplice risultato di costringere l'armata di Modlin a ritirarsi e di bloccare la guarnigione polacca, che si arrese dopo poche ore lasciando sul campo circa 10.000 prigionieri.
Nel settore sud l'attacco proseguì altrettanto velocemente grazie alla 1ª divisione corazzata che respinse la 7ª divisione di fanteria polacca conquistando un ponte sul fiume Warta il 2 settembre. Una seria minaccia al gruppo d'armate Sud di von Rundstedt, conscio della precaria situazione in cui versava il suo fianco nord, avrebbe potuto essere portata dall'armata Poznań di Kutrzeba, ma Rydz-Śmigły negò più volte il permesso di procedere, al fine di evitare una battaglia decisiva sulla riva occidentale della Vistola. A Varsavia l'alto comando dell'esercito polacco si trovò, data la mancanza di comandi intermedi, tagliato fuori dalle linee di comunicazione con le sette armate che stavano ripiegando di fronte all'avanzata tedesca. Il governo polacco lanciò un appello ai paesi Alleati affinché questi mantenessero il loro impegno di entrare in guerra contro i tedeschi, ma le due potenze occidentali esitarono e l'unico atto compiuto il primo giorno di guerra fu un "ammonimento alla Germania"; il giorno 2 trascorse nell'attesa di una risposta da parte di Hitler che tuttavia non arrivò ed i due paesi, intorno alle ore 22:30, si decisero ad intimare congiuntamente un ultimatum per l'arresto delle operazioni militari in Polonia da parte della Wehrmacht con scadenza per il giorno 3, alle ore 11:00 per la Gran Bretagna ed alle ore 17:00 per la Francia.
La giornata del 3 settembre iniziò con la consegna al consigliere d'ambasciata tedesco Paul-Otto Schmidt dell'ultimatum della Gran Bretagna alla Germania da parte dell'ambasciatore britannico a Berlino Nevile Henderson alle ore 09:00. Nel testo era statuito che, se la Germania non avesse dato entro due ore garanzie sufficienti in merito al ritiro delle truppe dalla Polonia, la Gran Bretagna si sarebbe considerata in guerra contro di essa, mentre alle ore 12:00, ad ultimatum britannico già scaduto e quindi resa ufficiale l'entrata in guerra della Gran Bretagna, l'omologo francese Robert Coulondre consegnò a sua volta l'ultimatum con un termine di scadenza inizialmente previsto per il giorno 4 settembre, anche se, diversamente da quello britannico, nel documento non era contenuto esplicitamente il termine "guerra", ma detto termine venne immediatamente anticipato alle ore 17:00.
Scaduti i due ultimatum, ed ufficializzata l'entrata in guerra delle due potenze occidentali, seguite lo stesso giorno da India, Australia e Nuova Zelanda, le 33 divisioni di cui disponeva l'Heeresgruppe C, comandato dal generale Wilhelm Ritter von Leeb, completarono il loro schieramento sui confini occidentali della Germania, dalla linea Sigfrido alle frontiere con Belgio ed Olanda. Alle ore 21:00 il sommergibile tedesco U-30 affondò lanave passeggeri britannica SS Athenia: il siluramento della nave, scambiata per un mercantile armato, provocò la morte di 112 persone, tra le quali vi erano 28 cittadini statunitensi, suscitando l'indignazione e la protesta del governo degli Stati Uniti.
Contemporaneamente l'avanzata della Wehrmacht in Polonia, affiancata da reparti delle Waffen-SS, tra le quali la divisione Leibstandarte comandata dall'Obergruppenführer Josef Dietrich, proseguiva al ritmo di circa 70 chilometri al giorno, tanto che il 5 settembre la 10ª armata aveva già coperto la metà della distanza tra le basi di partenza e Varsavia; sul suo fianco sinistro l'8ª armata si stava approssimando a Łódź e la 14ª armata aveva già raggiunto i sobborghi di Cracovia.La velocità dell'avanzata tedesca indusse il maresciallo Edward Śmigły-Rydz ad ordinare la creazione di un "Comando della difesa di Varsavia" (Dowództwo Obrony Warszawy), affidandone il comando al generale Walerian Czuma, fino a quel momento comandante delle forze a presidio della frontiera, ed il colonnello Tadeusz Tomaszewski ne divenne il capo di Stato Maggiore. L'avanzata tedesca sorprese lo stesso Hitler, il quale, recatosi in visita al fronte nel settore nord, fu enormemente compiaciuto nel riscontrare le potenzialità che offriva l'innovativo utilizzo dei carri armati.
Nel settore centrale l'8 settembre la 4ª divisione corazzata, comandata dal generale Georg-Hans Reinhardt, punta avanzata dell'8ª armata, raggiunse il limite del distretto di Varsavia ma venne fermata dall'azione combinata dell'artiglieria e da un contrattacco effettuato dai carri armati polacchi, che la costrinsero a ripiegare in attesa dell'arrivo dell'artiglieria pesante e della 12ª divisione di fanteria, comandata dal generale Ludwig von der Leyen; sul fianco sinistro dell'8ª armata tuttavia si stavano raggruppando le truppe polacche dell'armata di Poznań, che si stava ritirando verso est, e ciò che restava dell'armata della Pomerania, in ripiegamento dal corridoio verso sud, le quali, ricevuta l'autorizzazione da Śmigły-Rydz, l'attaccarono nei pressi di Kutno, impegnando la 30ª divisione di fanteria, comandata dal generale Kurt von Briesen, in combattimenti difensivi che durarono tre giorni, fino a quando l'intervento del XVI corpo corazzato riuscì a sospingere i polacchi ad ovest, in direzione del fiume Bzura, nel tentativo di circondare il loro raggruppamento insieme ai superstiti dell'armata di Łódź.
Contemporaneamente alla liquidazione della sacca proseguì l'avanzata della 3ª e della 4ª armata da nord verso la capitale, mentre alle sue spalle il XIX corpo corazzato, al quale era stata affiancata la 10ª divisione corazzata, comandata dal generale Ferdinand Schaal, si spinse velocemente oltre il fiumeNarew in direzione di Brest-Litovsk, ad est del fiume Bug, allo scopo di congiungersi con le punte avanzate della 14ª armata, con il duplice intento di tagliare la strada alle truppe in ritirata verso la parte sud-orientale del paese e di prendere Varsavia alle spalle; Brest-Litovsk fu occupata tre giorni prima che le truppe impegnate nella battaglia del fiume Bzura si arrendessero, capitolando il 20 settembre, e la cattura della città, distante circa 1.600 km ad est della capitale, ne presagì l'inevitabile capitolazione.Nel giorni successivi al 12 settembre le forze polacche, ormai accerchiate, tentarono inutilmente di spezzare l'anello che si era formato attorno a loro, mentre le restanti truppe delle armate di Łódź e di Modlin ripiegavano verso Varsavia; la Luftwaffe bombardò costantemente le truppe intrappolate nella sacca, ormai prive di collegamenti ed impossibilitate a ricevere aiuto, e gli assalti alla linea formata dalla 10ª armata tedesca si infransero progressivamente fino ad esaurirsi il 18 settembre, quando i superstiti delle 19 divisioni che costituivano la prima linea di difesa del paese capitolarono, consentendo ai tedeschi di catturare 170.000 prigionieri.Il 10 settembre il maresciallo Edward Rydz-Śmigły ordinò una ritirata verso sud-est, in direzione del confine con la Romania, mentre, il 12 settembre, l'attacco polacco all'8ª armata si esaurì e le rimanenti forze tentarono di dirigersi verso est al fine di raggrupparsi nuovamente per creare una linea difensiva ad ovest di Varsavia. L'alto comando tedesco, privo in quel momento di informazioni precise sulla posizione del grosso dell'esercito polacco, ritenne che questo si trovasse già oltre la Vistola ed ordinò alla 10ª armata di attraversare il fiume nella zona tra Varsavia eSandomierz, allo scopo di intercettarne la ritirata verso la parte sud-orientale del paese, ma il generale von Rundstedt ritenne viceversa che la maggior parte delle forze polacche fossero ancora ad ovest del fiume e riuscì a convincere l'Alto comando a fare dirigere la 10ª armata verso nord, predisponendo una linea di sbarramento lungo il fiume Bzura, ad ovest di Varsavia, con il duplice scopo di impedire alle truppe polacche di raggiungere la capitale e di intrappolarle prima che queste potessero sfuggire al previsto accerchiamento; la manovra ebbe successo e le forze polacche furono in massima parte circondate, con solo poche unità che riuscirono a sfuggire alla tenaglia proseguendo la loro ritirata verso la Vistola.
Mentre le tre divisioni tedesche si facevano largo nei quartieri periferici ad ovest di Varsavia, il 12 settembre la 3ª armata, proveniente da nord, sfondò delle linee difensive esterne della città sul fiume Narew; le divisioni di cavalleria polacca, comandate dal generale Władysław Anders, tentarono un ultimo disperato assalto contro i panzer tedeschi, venendo quasi completamente annientate, ed i superstiti si diressero frettolosamente all'interno della città, giungendovi il 14 settembre, aumentando il numero dei soldati disponibili per la difesa di Varsavia a 120.000 unità.Il 10 settembre la 4ª divisione corazzata e la 12ª divisione di fanteria, rinforzate dalla 16ª divisione di fanteria comandata dal generale Gotthard Heinrici, iniziarono ad avanzare all'interno del perimetro di Varsavia, muovendo attraverso i due quartieri di Wola e di Ochota; il generale Czuma venne affiancato nel compito della difesa della città dal generale Juliusz Rómmel, e le forze radunate nei giorni precedenti, due divisioni di fanteria rinforzate da 64 pezzi di artiglieria e da 33 carri armati, misero in difficoltà i reparti corazzati tedeschi, che si trovarono ad avanzare sotto il fuoco delle armi anticarro tra lebarricate erette dai soldati e dalla popolazione civile della capitale, che continuava a resistere con la speranza dell'arrivo degli Alleati. Il 15 settembre tuttavia l'anello formato dalle forze tedesche si chiuse definitivamente intorno alla capitale dove, il giorno 16, le forze dell'8ª armata tentarono un primo attacco in direzione dei quartieri di Praga e di Grochów che fu respinto dalle truppe del colonnello Stanisław Sosabowski; l'impossibilità di ricevere sia rinforzi dall'esterno che di ripiegare pose le basi per l'assedio della capitale: lo stesso giorno venne offerta la possibilità di resa alla città, che venne tuttavia respinta, ed Hitler, discostandosi da quanto chiedevano i suoi generali, ossia il blocco con l'attesa della presa per fame, dette ordine di conquistare Varsavia impiegando tutte le forze disponibili.La rapidità dell'avanzata tedesca e l'accerchiamento di Varsavia ormai completato avevano indotto lo Stato Maggiore polacco ad iniziare una ritirata in direzione della parte sud-orientale del paese verso il confine con la Romania, allo scopo di proseguire la guerra, continuando a confidare nell'intervento degli Alleati, ma tale intento venne frustrato dall'ingresso sul territorio polacco dell'Armata Rossa, in violazione del trattato di pace di Riga del 1921 e del patto di non aggressione sovietico-polacco del 1932. Il debole fronte orientale polacco, il cosiddetto Korpus Ochrony Pogranicza, aveva a sua disposizione solo 25 battaglioni di fanteria, ai quali avrebbero dovuto unirsi le truppe delle armate del fronte occidentale che stavano ripiegando, ma, prima che queste potessero arrivare, i sovietici erano già penetrati nelle regioni orientali della Poloniaoccupando le città di Tomaszów Lubelski e Grodno, creando i cosiddetti fronti "bielorusso" ed "ucraino".[76]
Dopo aver ordinato la mobilitazione generale l'11 settembre,7 settembre, alle ore 03:00 del mattino, l'ambasciatore polacco a Mosca venne convocato dal ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Michajlovič Molotov che lo informò che il governo polacco aveva cessato di esistere, esprimendo preoccupazioni per la sorte degli abitanti della Bielorussia e dell'Ucraina che l'Unione Sovietica avrebbe inteso proteggere; nello stesso momento tuttavia le truppe dell'Armata Rossa, comandate dai generali Mikhail Kovalov e Semën Konstjantynovyč Tymošenko, stavano oltrepassando i confini orientali della Polonia. Queste truppe, forti di circa 500.000 fanti, 3.000 carri armati e 1.500 aerei erano da un lato la risposta dell'Unione Sovietica agli appelli di appoggio provenienti dai tedeschi, avvenuti il 3 ed 10 settembre, ma anche l'espressione concreta della preoccupazione dell'eccessiva avanzata tedesca e del desiderio di ottenere una equa spartizione dei territori conquistati, con l'inclusione della Lituania nella sua zona di influenza.
Le operazioni militari di parte sovietica proseguirono comunque fino alla definitiva capitolazione del paese; esse furono altrettanto rapide di quelle tedesche ma, diversamente da quanto realizzato dalle divisioni meccanizzate della Wehrmacht, il compito fu reso più facile dalla situazione in cui versava la Polonia, ossia un paese ormai senza governo, con un esercito senza più comando ed un doppio fronte aperto: il 22 settembre fu conquistataLeopoli e l'Armata Rossa raggiunse la linea rappresentata dai fiumi Narew, Bug, Vistola e San il 28 settembre, incontrandosi con le unità tedesche provenienti da nord e da ovest, ed è da rilevare che, contrariamente a quanto avvenuto nei confronti della Germania, non vi fu nessun intervento o dichiarazione di guerra da parte degli Alleati nei confronti dell'Unione Sovietica.L'invasione sovietica costrinse dapprima alle dimissioni, ed immediatamente dopo alla fuga, il Presidente della Polonia Ignacy Mościcki ed il maresciallo Rydz-Śmigły, i quali, nonostante esortassero i soldati a continuare a combattere, ripararono in Romania; il giorno successivo i sovietici raggiunsero Brest-Litovsk, occupata due giorni prima dalle avanguardie della 4ª armata tedesca provenienti da nord, incontrandosi, il giorno 20, nell'antica città polacca con le truppe della Wehrmacht, sancendo di fatto, a campagna ancora in corso, una spartizione politica della Polonia.
Nei giorni successivi le forze tedesche sferrarono l'attacco finale a Varsavia con nove divisioni, cinque da ovest e quattro da est, preceduto, oltreché dai bombardamenti aerei, da un intenso fuoco di sbarramento realizzato da circa 70 batterie di artiglieria da campo e da 80 di artiglieria pesante; il 20 settembre le forze provenienti dalla riva est della Vistola riuscirono a penetrare nel quartiere di Praga, venendone tuttavia respinte dalla resistenza della Dowództwo Obrony Warszawy e da quella parte di popolazione civile che aveva deciso di non arrendersi e di imbracciare le armi; la situazione all'interno della città era sempre più disperata e, il 21 settembre, tutte le rappresentanze diplomatiche neutrali furono evacuate dalla capitale mentre, il 22 settembre, Hitler, che si era recato in visita alle truppe che stazionavano nella periferia di Varsavia, ordinò all'8ª armata di attaccarla da ovest, in modo che i profughi in fuga si dirigessero nel territorio ormai occupato dai sovietici, allo scopo, una volta terminate le ostilità, di non occuparsene.Il 17 settembre il generale Walther von Brauchitsch proclamò, ad operazioni ancora in corso, la fine della campagna di Polonia e, contestualmente, l'attacco sovietico alle spalle dello schieramento polacco, che velocemente si era disgregato davanti alle forze meccanizzate tedesche, costrinse ciò che rimaneva dell'esercito della Polonia ad una impari lotta su due fronti, mentre Varsavia era già stata completamente circondata. La stretta finale alla capitale iniziò con una serie di bombardamenti che si sarebbero protratti, sia di notte che di giorno, per tutta la durata della battaglia e per realizzarli vennero utilizzate la 1ª e la 4ª Luftflotte, comandate rispettivamente dai generali Albert Kesselring ed Alexander Löhr, allo scopo di colpire obiettivi militari e civili che accrebbero notevolmente il numero delle vittime.
Viste le condizioni ormai disperate delle forze armate e della popolazione civile all'interno della città i polacchi furono costretti ad accettare e, a mezzogiorno del 27 settembre, il generale Kutrzeba avviò le trattative con il generale Blaskowitz per la resa di Varsavia; i combattimenti cessarono ed il giorno successivo venne firmata la definitiva capitolazione della capitale polacca con l'ingresso delle truppe tedesche nella città. Durante la battaglia l'esercito polacco perse 6.000 soldati e 16.000 rimasero feriti, ed i circa 140.000 soldati della guarnigione che furono fatti prigionieri iniziarono ad essere inoltrati il giorno 30 verso i campi di concentramento tedeschi, giorno in cui a Londra venne costituito il Governo polacco in esilio presieduto da Władysław Raczkiewicz. Il 24 settembre tutte le unità tedesche impegnate nell'attacco a Varsavia furono poste sotto il comando del generale Blaskowitz ed il giorno successivo iniziò, preceduta da due giorni consecutivi di bombardamenti aerei, un'ulteriore offensiva che, nonostante la strenua difesa, permise ai tedeschi di cominciare a farsi strada all'interno dei quartieri di Mokotów e di Praga, mentre la situazione della popolazione civile, a causa dei bombardamenti e dei combattimenti incessanti, peggiorava continuamente: la mancanza di cibo e di medicinali, unita alla mancanza di acqua dovuta alla distruzione degli acquedotti, il cessato funzionamento della rete elettrica e telefonica e la presenza di 16.000 soldati e di un numero imprecisato di civili feriti, rendeva la situazione non più sostenibile. Il 26 settembre il generale Rómmel chiese un cessate il fuoco per negoziare la resa, ma stavolta furono i tedeschi a rifiutarla, sostenendo che avrebbero accettato solo una proposta di resa incondizionata.
L'esercito polacco, dopo la caduta di Varsavia, l'invasione sovietica ed abbandonate le speranze di un intervento Alleato, proseguì la sua disperata resistenza per un'altra settimana ma le sorti del paese erano ormai segnate: la guarnigione di Modlin, forte di quattro divisioni ed accerchiata dal 10 settembre, si arrese il giorno 28, lasciando ai tedeschi circa 24.000 prigionieri, mentre in precedenza, rispettivamente l'8 ed il 19 settembre, si erano già arrese quelle di Westerplatte e di Gdynia.
Nel sud-est del paese, dove si erano radunate le truppe di quello che avrebbe dovuto diventare il fronte rumeno, i combattimenti proseguirono fino al 5 ottobre, quando le ultime forze polacche di una certa consistenza si arresero nel settore intorno alla città di Kock, anche se circa 100.000 soldati riuscirono a mettersi momentaneamente in salvo al di là delle frontiere neutrali di Lituania, Ungheria e Romania;  il 6 ottobre al Reichstag Hitler annunciò la fine delle operazioni militari contro la Polonia, nonostante non vi fosse stato un formale atto di resa del paese da parte del Governo polacco in esilio.Nel nord del paese il 1º ottobre fu conquistato anche il forte di Hel, comandato dall'ammiraglio Józef Unrug, che resisteva dall'inizio della guerra con una piccola guarnigione formata da 450 fanti di marina, integrati da una milizia civile: il forte, situato su di una lingua di terra larga 11 chilometri, fu difeso dalle artiglierie costiere e da campi minatima dovette cedere sotto i colpi provenienti dalle corazzate Schleswig-Holstein e Schlesien e dai bombardamenti degli Stuka, i quali distrussero progressivamente le linee ferroviarie necessarie allo spostamento delle batterie utilizzate per la sua difesa.
La campagna di Polonia era stata combattuta e vinta in sole cinque settimane, e, nonostante i combattimenti non fossero cessati immediatamente, in quanto l'attività di guerriglia e di resistenza proseguì fino all'inverno, la Germania era riuscita, con la collaborazione dell'Unione Sovietica, a sconfiggere quello che all'epoca era considerato uno degli eserciti migliori del mondo ma, dal punto di vista politico, il Führer non riuscì nell'intento di annettere Danzica e la Polonia mantenendo fuori dal conflitto le potenze Alleate, provocando l'inizio della seconda guerra mondiale.



mercoledì 20 marzo 2013

La Conferenza di Monaco, l'annessione dei Sudeti, l'invasione della Cecoslovacchia e il Patto d'Acciaio

Dopo aver annesso l'Austria, l'obiettivo dichiarato di Hitler era quello di annettere anche il territorio dei Sudeti, che faceva parte della Cecoslovacchia.
Già nel 1938, il dittatore incaricò Henlein, dirigente del Partito Patriottico dei Sudeti, di avanzare pretese innaccettabili in nome dei Sudeti stessi, in modo da aumentare le tensioni all'interno della Cecoslovacchia, per far tornare i Sudeti nel Reich.
Per evitare il conflitto, i governi francese e inglese adottarono la cosiddetta politica dell'appeasement: i francesi, in particolare, non avevano alcuna intenzione di affrontare i tedeschi in guerra da soli, e quindi adottarono la stessa politica di Chamberlain, primo ministro inglese. Quest'ultimo riteneva le richieste dei Sudeti più che legittime, ma dopo la secessione della Slovacchia Hitler ne approfittò per denunciare l'impegno britannico di salvaguardia della Cecoslovacchia. Perciò, Francia e Gran Bretagna consigliarono il presidente cecoslovacco Benes di accettare le richieste tedesche, ma egli volle resistere e mobilitò il proprio esercito (20 maggio), in risposta alle voci di una mobilitazione da parte dell'esercito tedesco.
Chamberlain chiese nel frattempo a Benes di trattare attraverso un mediatore, e il presidente cecoslovacco accettò con riluttanza: il mediatore, lord Runciman, tentò di convincere Benes ad accettare le richieste dei tedeschi dei Sudeti, che firmò una sorta di piano. Henlein, però, volle a tutti costi boicottare queste trattative ed organizzò della manifestazioni che sfociarono in violenze, l'esercito cecoslovacco intervenne energicamente per ristabilire l'ordine ed Henlein, il 15 settembre, dalla Germania, emise un proclama che chiedeva ufficialmente l'annessione dei Sudeti da parte della Germania nazista.
Lo stesso giorno, Hitler incontrò Chamberlain chiedendo l'annessione al Reich dei Sudeti, sotto minaccia di una guerra: il primo ministro britannico riferì al proprio governo e quello francese, che accettarono entrambi. I cecoslovacchi, però, resistevano ancora, sostenendo che l'annessione dei Sudeti avrebbe distrutto l'economia della Cecoslovacchia e avrebbe portato comunque alla totale annessione del Paese. Inglesi e francesi emisero un ultimatum e Benes dovette quindi capitolare.
In Cecoslovacchia la popolazione si indignò non poco per la capitolazione di Benes, e fu così istituito un nuovo governo, con a capo Syrovy.
Il 28 settembre Chamberlain chiese a Mussolini di intervenire presso Hitler, per convincerlo a partecipare ad una conferenza per risolvere una volta per tutte il problema. Il 29 settembre, a Monaco di Baviera, ebbe così luogo la famosa Conferenza di Monaco, a cui parteciparono Hitler, Chamberlain, Mussolini e Daladier (capo del governo francese), mentre il governo cecoslovacco non fu né invitato e né consultato.
L'accordo raggiunto prevedeva, come suggerito da Mussolini, il passaggio del territorio dei Sudeti alla Germania a partire del 10 ottobre 1938.
Chamberlain e Daladier si felicitarono per il raggiungimento di un accordo che avrebbe evitato all'Europa un altro sanguinoso conflitto. Il primo ministro inglese fu accolto in patria come un vero proprio eroe, ma si sollevarono comunque delle critiche, in particolare quella del futuro primo ministro Winston Churchill, che alla Camera dei Comuni, il 5 ottobre, disse espressamente: "Regno Unito e Francia dovevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra". Mai parole furono più profetiche!!!
Esattamente nel marzo 1939, le paure di Churchill sulle mire espansionistiche del Terzo Reich trovarono conferma proprio con l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'esercito tedesco: il 13 marzo 1939, difatti, le truppe tedesche entrarono a Praga, annettendo Boemia e Moravia trasformandole in un protettorato, e creando al tempo stesso un regime-fantoccio in Slovacchia.
I semi che avrebbero portato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale erano appena stati gettati...
Gli accordi di Monaco ebbero come conseguenza anche l'avvicinamento tra Hitler e Mussolini, che da li a pochi mesi  avrebbero messo a punto il famoso Patto d'Acciaio (o Asse Roma-Berlino). Il 22 maggio 1939, difatti, Galeazzo Ciano e Joachim Von Ribbentrop firmarono questo patto nella Cancelleria del Reich a Berlino, che avrebbe legato fino alla fine il regime fascista italiano e il regime nazista tedesco.
Esso prevedeva un'alleanza sia difensiva che offensiva: le parti erano obbligate a fornire reciproco aiuto politico e diplomatico in caso di situazioni internazionali che avrebbero messo a rischio i proprio interessi vitali. Aiuto che si sarebbe esteso anche sul piano militare in caso di guerra. Inoltre, i due paesi si sarebbero impegnati a non firmare trattati di pace separatamente. Il patto sarebbe durato dieci anni.
Il patto prevedeva anche l'inviolabilità della frontiera italo-tedesca, ma anche il riconoscimento di uno spazio vitale italiano, che la Germania si sarebbe impegnata a non violare. Il patto, infine, prevedeva un'alleanza politica tra le dittature.
Vi furono delle critiche in Italia a questo patto: la durata inusitata e lo sbilanciamento della potenza bellica a favore della Germania, dava a quest'ultima il potere d'iniziativa.
Inoltre Mussolini, ben sapendo che il conflitto era vicino, comunicò più volte ad Hitler che l'Italia non era ancora militarmente pronta a sostenere una guerra prima di due o tre anni.
Ma il giorno dopo la firma dell'accordo, 23 maggio, Hitler tenne un consiglio al centro del quale c'era l'invasione della Polonia: per il dittatore tedesco, il compito dell'Italia, all'inizio, sarebbe stato quello di contenere le reazioni inglesi e francesi.
Il resto della storia, purtroppo, è "carta conosciuta" e ne parlerò prossimamente...



lunedì 18 marzo 2013

Kristallnacht

Il 7 novembre 1938, presso l'ambasciata tedesca di Parigi, Herschel Grynszpan, ebreo tedesco di 17 anni, sparò al diplomatico tedesco Ernst vom Rath, che sarebbe morto due giorni dopo: il movente comunemente accettato furono le sofferenze patite dalla famiglia di Grynszpan a causa dei nazisti.
In Germania, ovviamente, il Ministro della Propaganda Goebbels fece in modo che la notizia avesse la maggior eco possibile: già dal 7 novembre in tutta la Germania cominciarono assalti e atti di violenza nei confronti degli ebrei, ad opera di membri delle SS e delle SA vestiti in borghese, e in particolare venne colpita la sinagoga ed edifici appartenenti ad ebrei a Kassel.
L'8 novembre, invece, venne data alle fiamme la sinagoga di Bad Hersfeld e nel corso della notte vi furono altri danneggiamenti e maltrattamenti a danno di ebrei, fino ad arrivare anche ad una prima vittima a Felsberg.
Il 9 novembre, altri danneggiamenti avvennero a Dessau e a Chemnitz, e alle 22 dello stesso giorno Goebbels fece un discorso alla radio accusando "gli ebrei" della morte di Vom Rath: le sue parole vennero interpretate dalle SA come un invito all'azione e da quel momento altre sinagoghe ed altri edifici appartenenti ad ebrei vennero assaltati, così come centinaia di negozi. Molte persone vennero seviziati e ci furono anche casi di stupro. Durante questo pogrom si contarono almeno 400 vittime, 91 secondo una lettera di Heydrich a Goring.
I pogrom continuarono fino al 10 novembre. A partite da quel giorno e in quelli seguenti circa 30.000 uomini di religione ebraica vennero arrestati dalla Gestapo e dalle SS e deportati nei campi di concentramento di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen. Molti furono rilasciati solo dopo aver "dichiarato" di essere disposti all'esilio, mentre altri morirono durante la detenzione.
"La Notte dei Cristalli" venne considerata da molti dirigenti nazisti come un passo falso, che dichiararono le violenze eccessive. I saccheggi compiuti ottenendo vantaggi personali crearono problemi al partito e vi furono molte critiche per la "distruzione di beni patrimoniali priva di senso ai fini economici".
Vi furono anche delle proteste a questi pogrom.
All'interno del partito nazista, in molti non ritennero "utili" i pogrom per raggiungere l'obiettivo di liberare la Germania dagli ebrei, e molti presero le distanze dalla loro pianificazione ed esecuzione. Come capro espiatorio venne indicato lo stesso Goebbels, anche se alcune ricerche mettono in dubbio la tesi che il Ministro della Propaganda fosse l'unico responsabile: secondo alcuni storici, anche Hitler, Goring ed Himmler probabilmente sapevano dell'organizzazione di questi pogrom ed è possibile che fossero coinvolti nella loro pianificazione.
Il 12 novembre 1938, in una conferenza presieduta da Goring, il partito si proponeva di coordinare ulteriori disposizioni per allontanare ulteriormente gli ebrei dalla vita pubblica in Germania: in particolare, vi furono disposizioni che provocarono un ulteriore allontanamento degli ebrei dalla vita economica e culturale, molte aziende vennero espropriate. Gli ebrei vennero esclusi dalle scuole, dalla partecipazione agli eventi pubblici, dall'assistenza pubblica.


lunedì 11 marzo 2013

Le leggi razziali fasciste

Il fondamento delle leggi razziali fasciste era l'esistenza di una razza italiana e la sua appartenenza alle razze ariane (sulla falsa riga dei tedeschi...), dando a queste considerazioni un fondamento scientifico, rivelatosi ovviamente inconsistente.
Dopo l'entrata in vigore del Regio decreto n.880, che vietava il madamismo (acquisto di una concubina) e il matrimonio tra italiani con "i sudditi delle colonie africane", il parlamento italiano promulgò altre leggi di stampo razzista.
Con la legge n.1024 del luglio 1939, in particolare, il fascismo ammise la figura dell'ebreo arianizzato: il Ministro dell'Interno aveva difatti la facoltà di dichiarare la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile. A questi, le leggi razziali vennero applicate solo parzialmente o con deroghe.
Le leggi antisemite fasciste comprendevano: il divieto di matrimonio tra italiani ariani ed ebrei; il divieto per gli ebrei di avere alle dipendenze domestici di razza ariana; il divieto per le società private di tipo pubblicistico (come banche e assicurazioni) di avere alle proprie dipendenze ebrei; il divieto per gli ebrei stranieri di trasferirsi in Italia; la revoca della cittadinanza italiana concessa agli ebrei stranieri dopo il 1919; il divieto di svolgere la professione di notaio e giornalista; il divieto di iscrizione per i ragazzi ebrei (tranne quelli convertiti) nelle scuole pubbliche; il divieto per le scuole medie di utilizzare libri redatti da un ebreo. Fu inoltre prevista di costituzione di scuole apposite per gli ebrei, a cura della comunità ebraica. Gli insegnanti ebrei potevano lavorare solo in queste scuole.
Venne poi previsto, sempre per gli ebrei (tranne quelli arianizzati), il divieto di svolgere il servizio militare, di esercitare il ruolo di tutore legale di minori, essere titolare di aziende di interesse per la difesa nazionale, essere proprietari terrieri. Era prevista poi l'annotazione di appartenenza alla razza ebraica nei registri di stato civile.
Il documento che ebbe il ruolo principale nella promulgazione delle leggi anti-ebraiche anche nel nostro Paese, era il Manifesto degli scienziati razzisti, meglio noto come Manifesto della Razza: pubblicato sul Giornale d'Italia il 15 luglio 1938, venne poi ripubblicato sulla rivista La difesa della razza il 5 agosto 1938 e firmato da 10 scienziati. Il testo venne reso pubblico nella sua totalità il 25 luglio 1938.
Nonostante alcuni sostengano che Mussolini non fosse antisemita (Margherita Sarfatti, sua amante, era ebrea), Galeazzo Ciano, nel suo diario, riportava che il Duce stesso gli avesse detto di aver redatto il Manifesto quasi tutto da solo.
Il 6 ottobre 1938 il Gran Consigli del Fascismo emette la Dichiarazione della Razza, che verrà adottata con Regio decreto il 17 novembre.
La maggior parte degli scienziati e degli intellettuali ebrei colpiti da queste leggi emigrano all'estero, tra questi Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Franco Modigliani, Piero Foà. Chi rimane in Italia, invece, è obbligato ad abbandonare la cattedra, tra questi Tullio Ascarelli, Donato Donati, Marco Fanno. Sono costretti ad emigrare, in quanto hanno mogli ebree, anche Enrico Fermi e Luigi Bogliolo.
Il testo del Manifesto, che come già detto venne pubblicato interamente il 5 agosto 1938, era questo:

« Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
  1. LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano a ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
  2. ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
  3. IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
  4. LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
  5. È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
  6. ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico–linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
  7. È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano–nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra–europee, questo vuol dire elevare l'italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.
  8. È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
  9. GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
  10. I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono a un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani. »

I 10 scienziati firmatari erano tutti professori delle più prestigiose università italiane:

Tra le personalità che appoggiarono pubblicamente il Manifesto della Razza ricordiamo, in particolare: Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Pietro Badoglio, Giuseppe Bottai, Galeazzo Ciano, Amintore Fanfani, Giovanni Gentile, Giovannino Guareschi, Benito Mussolini, Alessandro Pavolini, Achille Starace, Guido Buffarini Guidi, Julius Evola, Ezio Maria Gray.
Dopo la pubblicazione del Manifesto, vennero resi pubblici i nomi delle personalità che sostenevano la norma, anche se dopo la fine della guerra, l'adesione di alcuni di loro venne messa in discussione dagli storici.
Il Papa Pio XI, che nel 1937 aveva scritto l'enciclica Mit brennender Sorge contro le leggi razziali naziste, nel 1938-1939 affidò al gesuita John LaFarge il progetto di una nuova enciclica contro l'antisemitismo, ma questo progetto fu avocato a sé dal Segretario generale dei Gesuiti, che consegnò il testo solo poco prima che Pio XI morisse. Pio XII, successore di Pio XI, non la fece pubblicare.
Pio XI, comunque, tenne un discorso molto famoso il 6 settembre, dicendo tra le lacrime "Spiritualmente siamo tutti semiti", in risposta al quale Mussolini accusò il Papa di voler difendere gli ebrei.e minacciò ulteriori provvedimenti se i cattolici avessero insistito.
Pio XI protestò ufficialmente per iscritto con il Re e con il capo del governo per la violazione del Concordato  prodotta dai decreti razziali, e il Sant'Uffizio condannò ufficialmente la rivista La difesa della razza.
Le leggi razziali sono considerate una macchia indelebile per l'Italia, che ha gettato un'ombra ancora più oscura su tutto il ventennio fascista.
Nonostante la proclamazione, per il 27 gennaio, del Giorno della Memoria, niente potrà mai cancellare il ricordo di quelle leggi infami che, insieme all'occupazione nazi-fascista del biennio 1943-1945, ha portato anche nel nostro Paese la tragedia delle deportazioni nei campi di concentramento nazisti, il cui ricordo è arrivato fino a noi grazie a numerosi libri opera proprio di ex-deportati, tra cui Primo Levi.



giovedì 7 marzo 2013

L'Anschluss: la Germania annette l'Austria

Tra gli obiettivi principali di Hitler, una volta salito al potere, era quello di riunire in un unico grande stato tutte le popolazioni di origine tedesca. Il primo passo venne fatto il 13 gennaio 1935 quando, con un plebiscito popolare, il territorio della Saar (che la Società delle Nazioni aveva posto sotto protettorato anglo-francese) venne annesso alla Germania; dopo di che venne posta fine alla smilitarizzazione della Renania, imposta dai vincitori della Grande Guerra. Il passo successivo sarebbe stato l'annessione dell'Austria.
Quando Hitler, nel 1933, salì al potere, in Austria c'era una dittatura, che non consentì la propaganda del Nazismo. Dollfuss, il dittatore austriaco, era apertamente sostenuto da Benito Mussolini, il quale andò molto spesso in attrito con Hitler, i cui programmi sull'Austria erano ben noti al dittatore italiano. L'opinione pubblica italiana non era molto d'accordo con Mussolini sull'ipotesi di difendere l'Austria in caso d'attacco tedesco, e la stessa cosa si pensava anche in Francia e Gran Bretagna.
Hitler, tramite i suoi inviati Goring e Von Papen, aveva quindi fatto presente a Mussolini della necessità di destituire Dollfuss per consentire la libertà politica in Austria. In un incontro nel 1934, Hitler chiese la possibilità di tenere libere elezioni in Austria, convinto che il partito Nazista avrebbe vinto facilmente: Mussolini si limitò a prendere atto della parole di Hitler.
Nel luglio dello stesso anno ebbe luogo il putsch di Vienna, che però fallì anche per l'intervento minaccioso di Mussolini: ma Hitler raggiunse comunque il suo obiettivo, in quanto Dollfuss, negli scontri avvenuti nella Cancelleria, rimase ucciso.
Dopo il fallito colpo di stato, nel garantire l'indipendenza austriaca e in funzione anti-tedesca, Mussolini concluse un'alleanza con la Francia, ma dopo l'invasione dell'Etiopia da parte delle truppe italiane l'accordo si sfaldò.
L'atteggiamento italiano nei confronti del Anschluss cambiò improvvisamente nel 1936, dopo un colloquio tra Mussolini e l'ambasciatore tedesco Von Hassell, che pose le basi per un accordo italo-tedesco: l'Italia, in particolare, avrebbe smesso di proteggere l'Austria e che si sarebbe quindi accettato l'Anschluss.
Nel luglio dello stesso anno, poi, venne concluso un accordo tra Austria e Germania per consentire la propaganda nazista nel paese. Il nuovo Cancelliere austriaco, Schuschnigg, era assolutamente intenzionato a resistere all'invasione tedesca, ma non avendo più l'appoggio dell'Italia si vide costretto ad immettere nel governo esponenti nazisti, tra cui Seyss-Inquart.
Schuschnigg, però, in un ultimo tentativo di resistenza, pensò bene di indire un referendum per il marzo 1938 in cui avrebbe chiesto al popolo austriaco se voleva che l'Austria rimanesse o meno una nazione libera: le pressioni naziste sempre più pesanti costrinsero il Cancelliere non solo a cancellare il referendum ma anche a dare le dimissioni. Al suo posto Hitler costrinse il presidente della Repubblica austriaco, Miklas, a nominare Cancelliere Seyss-Inquart, il cui primo e unico atto fu quello di chiamare l'esercito tedesco ad invadere l'Austria e indire un referendum per confermare l'annessione alla Germania.
Il 12 marzo 1938 l'esercito tedesco entrò in Austria e, senza incontrare nessuna resistenza, arrivarono a Vienna in poche ore: fu accolto dappertutto con grande entusiasmo.
Nel mese tra l'annessione e il plebiscito indetto sia in Germania che in Austria arrivò una seconda invasione, quella dei funzionari nazisti che scatenarono una campagna propagandistica che si fece sentire in ogni angolo della vita quotidiana. Bandiere, striscioni e manifesti con slogan e con la svastica comparvero in tutte le città sui tram, sui muri e sui pali; soltanto a Vienna furono affissi circa 200.000 ritratti del Führer in luoghi pubblici. Anche sulla corrispondenza comparve il timbro postale "Il 10 aprile il tuo sì al Führer". I giornali e le radio che erano fermamente in mano nazista martellavano la popolazione austriaca con una continua propaganda per il "sì" e non vi fu nessuno spazio ufficiale per il "no".
Naturalmente stravinse il "sì": in Germania con il 99,60%, in Austria con il 99,71% dei voti. Questo plebiscito violò i più basilari concetti di democrazia e legalità del voto: la domanda a cui si doveva rispondere suggeriva già fortemente la risposta positiva, lo stesso fece la grafica della scheda. Inoltre, gli ebrei, le persone "di sangue misto" e tutti quelli incarcerati per motivi politici o razziali, cioè complessivamente ca. l'8% della popolazione austriaca, erano esclusi dal voto, e contro cui saranno applicate, come in Germania, le leggi di Norimberga.. Nonostante ciò, il risultato può essere considerato uno specchio abbastanza fedele di quello che pensava la grande maggioranza dei tedeschi e degli austriaci.
Già a due settimane dall'invasione, le truppe tedesche potevano ritirarsi di nuovo in Germania, un'occupazione stabile dell'Austria non era necessaria.

I nazisti tedeschi volevano la trasformazione dell'Austria in una provincia subordinata e la cancellazione di tutte le caratteristiche particolari dell'Austria. Gli austriaci dovevano diventare tedeschi, che lo volessero o no. Prima l'Austria fu chiamata "Ostmark" (Territorio dell'est), poi "Circoscrizione delle Alpi e del Danubio". Il nome tradizionale "Österreich" (Austria) fu ufficialmente abolito dietro minaccia di sanzioni.